«Ai martiri traditi della rivoluzione siriana. Questo libro è dedicato a voi». È il prologo – oltre che un omaggio – che apre Passaggi in Siria (Sellerio, pp. 349. euro 16), della giornalista siriana Samar Yazbek. «I giovani delle proteste pacifiche contro Bashar Al-Assad, del marzo 2011, sono stati uccisi dalle forze di sicurezza – dice – e sono morti i prigionieri nelle carceri, medici, intervenuti in soccorso dei manifestanti feriti».
Passaggi in Siria (oggi sarà presentato a Palermo, al Festival delle Letterature Migranti), racconta il viaggio al contrario dell’autrice, per rientrare illegalmente nel proprio Paese. Esule in Francia con la figlia, Samar è scappata al regime per la prima volta, quando il suo lavoro era diventato inviso al potere. Ma il desiderio di tornare, la spinge ad attraversare pericolosamente i confini turchi, fino a raggiungere i territori siriani liberati. Un cammino crudo e disumano.

«OPPORMI ALLA DITTATURA – spiega Yazbek -, è da sempre la mia missione: mi occupo della condizione femminile in Siria e m’interesso di diritti umani. Il governo di Assad si è trasformato in un duplice abominio: non è solo responsabile dell’uccisione del proprio popolo, ma anche della consegna della Siria a un conflitto internazionale che trasformerà le sue terre, in zone contese tra diversi Paesi. Purtroppo, la rivoluzione è stata sconfitta, e ora siamo nella fase peggiore. La Siria vive l’epoca del post neoliberismo economico, in cui i paesi diventano agenzie di mediazione che lavorano per colossi industriali, e dove l’estremismo religioso è creato per continuare le guerre. Il regime di Assad ha nutrito l’estremismo. Avremmo bisogno di una revisione illuminata della nostra storia e del patrimonio islamico».
In Passaggi in Siria, l’esilio viene trattato come fosse una morte interiore. «Lo sradicamento è stato duro, poiché accompagnato da un doloroso senso di colpa. Ora cerco di accettare l’idea, come un atto volto alla sopravvivenza, più che alla morte. L’allontanamento forzato, cui sono stati sottoposti milioni di siriani è l’elemento più drammatico della morte metaforica. Un’uccisione morale. Quando ho deciso di tornare, nel 2012, volevo restare e stabilirmi in Siria. Pensavo che avremmo continuato la nostra rivoluzione e costruito la democrazia. Ma non riconoscevo più il mio paese, stava cambiando. O forse lo era già, con l’apertura dei confini turco e iracheno e l’ingresso di mercenari, accompagnati da armi di ogni genere».

Nel suo racconto, Yazbek presenta persone in fuga e altre rimaste, eppure c’è qualcosa che accomuna tutti. «Sì, è vero, di sicuro il sogno di una Siria unificata e democratica – continua l’autrice -, di una vita dignitosa che garantisca un futuro libero. Hanno potenzialità comuni: senso di appartenenza alla patria e a una grande rivoluzione. Ciascuno, nel raccontare la propria storia, sembra voler dire ’ci avete deluso tutti’. E poi, la domanda che prima o poi ognuno si pone: ’chi siamo? Esiste un’identità nazionale che ci unisce?’. Spesso non c’è risposta».

L’Observer ha definito il suo libro il primo classico politico del XXI secolo. Ma lei, afferma, ha iniziato «scrivendo articoli che dessero la misura di ciò che stava accadendo, visto che i media di regime falsificavano i fatti. All’epoca, quando ancora mi occupavo solo di giornalismo, la violenza mi circondava e il mio linguaggio narrativo era diventato impotente: non avrei potuto fare letteratura. Poi, nel 2013, sono stata costretta a uscire dal Paese dopo l’arrivo di Isis e il rapimento di un collega. Tentavo di registrare ciò che accadeva intorno a me: sono andata al fronte e ho incontrato i combattenti del Free Syrian Army, di al-Nusra e di el-Sham. Ero ossessionata dalla verità. Ho raccolto decine di quaderni di appunti. Al mio ritorno a Parigi, convinta che la Siria si stesse muovendo verso l’abisso, ho deciso di scrivere la mia esperienza e quella di chi non ha voce».

È STATA LA GUERRA purtroppo, dice, «ad accendere un enorme faro sul Paese e sui suoi intellettuali. Prima della rivoluzione, la letteratura siriana non aveva grandi opportunità di farsi conoscere». E come vede il futuro della Siria Samar Yazbek? «Si parla di un ritorno al 2011, pre-rivoluzione. Ma sono falsità: Assad e i suoi alleati hanno vinto, imponendo il loro progetto. È l’inizio della ripartizione, blocchi separati (iraniano, russo, turco e americano) uniti nel nome di uno stato siriano governato da Assad. Il Paese è distrutto. Non è più la Siria che conoscevo»