È omicidio premeditato l’ipotesi di reato formulata dalla procura di Reggio Emilia per il caso di Saman Abbas, la ragazza scomparsa lo scorso 30 aprile a Novellara. «Purtroppo reputiamo sia deceduta. Non darei riscontro positivo a ciò che ha detto il padre. In Belgio non c’è», ha affermato ieri la procuratrice Isabella Chiesi. Il riferimento è alle dichiarazioni che il genitore ha rilasciato dal Pakistan, forse per fornire una versione comune agli altri soggetti coinvolti. Nel registro degli indagati ci sono cinque nomi di parenti della diciottenne: lo zio Danish Hasnain (33); il padre Shabbar Abbas (46); la madre Nazia Shaheen (47); i due cugini Nomanulhaq Nomanulhaq (34) e Ikram Ijaz (29). I genitori sono rientrati in Pakistan. Ijaz è stato arrestato in Francia e si attende l’estradizione. L’altro cugino e lo zio sono ricercati dalle autorità di mezza Europa. Il movente sarebbe il rifiuto della donna di un matrimonio forzato nel Paese di origine.

IERI È STATO PUBBLICATO un video girato da una telecamera esterna alla casa della famiglia. È datato 29 aprile, intorno alle 19.30, e ritrae tre uomini, di cui uno con una pala. Sarebbero zio e cugini. Il sospetto è che si stessero dirigendo a scavare la fossa nei pressi dell’azienda agricola dove vivevano e lavoravano gli Abbas. Il fatto confermerebbe, insieme ai biglietti aerei per il Pakistan ricevuti dai genitori il 26 aprile, la premeditazione. Nei terreni circostanti continueranno oggi le ricerche del corpo con l’utilizzo di un elettromagnetometro, strumento in grado di misurare la conducibilità dei terreni e identificare elementi interrati.

Il video che incastrerebbe lo zio e i due cugini

INTANTO NUOVI agghiaccianti particolari si sono aggiunti alla ricostruzione della storia. Domenica il fratello sedicenne di Saman è stato interrogato. Da quanto riportato in alcuni stralci comparsi sulla Gazzetta di Reggio ha puntato il dito contro lo zio, che potrebbe aver strangolato la ragazza. L’uomo era temuto da tutta la famiglia. La procuratrice Chiesi ha rifiutato di commentare le dichiarazioni per proteggere il minore. Gli investigatori si sono concentrati anche su una frase ritrovata in una chat tra Hasnain e un conoscente: «Abbiamo fatto un lavoro fatto bene». Il fidanzato di Saman, invece, ha aiutato gli inquirenti a ricostruire gli ultimi passi della ragazza, che la sera prima di scomparire lo aveva allertato di un pericolo imminente. «Se non mi senti per 48 ore avverti le forze dell’ordine», gli avrebbe scritto in uno degli ultimi messaggi.

C’È POI UN DETTAGLIO che emerge dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Reggio Emilia per gli indagati. È stato ricostruito che la sera del 30 aprile al termine della lite violenta con i genitori la ragazza li ha insultati e prima di tentare di fuggire ha chiesto la restituzione dei suoi documenti. Un dettaglio che potrebbe risultare poco rilevante ai fini processuali ma confermerebbe ciò che le associazioni attive nella difesa delle donne denunciano da tempo: le attuali leggi su cittadinanza e permesso di soggiorno costituiscono una difficoltà ulteriore nei già complessi percorsi di fuoriuscita dai contesti di violenza patriarcale. «Per l’ottenimento della cittadinanza viene richiesto il consenso, scritto e firmato, del marito o padre, anche nei casi denunciati di violenza di genere», si legge nel dossier presentato il 2 giugno scorso da Black Lives Matter Roma e Rete G2-Seconde Generazioni.

«LE RAGAZZE che fuggono dai matrimoni forzati vogliono scegliere come vivere, autodeterminarsi, amare. Dire che il loro obiettivo è seguire il “modello occidentale” non aiuta a comprendere la realtà. Il problema non è la cultura, ma la negazione dei diritti», afferma Tiziana Dal Pra. Fondatrice dell’associazione di donne native e migranti Trama di Terre, Dal Pra ha aperto a Bologna nel 2011 la prima casa rifugio per ragazze che rifiutano i matrimoni forzati. Insiste che non è bastato proibirli con la legge Codice Rosso del 2019, ma è necessario raccogliere dati per conoscere il fenomeno e combatterlo con politiche attive, di informazione e sensibilizzazione. «Serve riconoscere queste donne come persone. Un modo per farlo è garantire la cittadinanza, rafforzando il sentimento di fiducia nella società», continua.

SE IL CADAVERE di Saman sarà ritrovato, il suo nome si aggiungerà alla lista delle 45 donne vittime di femminicidio nel 2021. Laura, Sharon, Victoria, Soccorsa, Edith, Lorenza, Ornella, Ylenia, Blessing. Uccise da mariti o ex compagni, parenti o conoscenti. Italiani o stranieri, di diverse religioni, ma con una caratteristica in comune: uomini.