I «pieni poteri», in materia di immigrazione e ordine pubblico superiori a quelli del presidente del Consiglio, se li è già presi con il decreto sicurezza bis e votando la fiducia al governo Conte cinque giorni prima di presentare una mozione di sfiducia allo stesso governo. E quei poteri se li tiene, visto che per accelerare la crisi Matteo Salvini ha fatto di tutto – comizi, ricatti, ultimatum, mozioni – tranne dimettersi da ministro dell’interno. Per questo Pd e Leu alla riunione dei capigruppo del senato della prossima settimana chiederanno di votare prima la mozione di sfiducia a Salvini, presentata a luglio e messa in calendario per settembre, che quella contro Conte depositata ieri dalla Lega. Un ministro che chiede «agli italiani di darmi pieni poteri per fare quello che ho promesso senza palle al piede», dicono in molti, non può gestire le elezioni dal Viminale. E molto probabilmente non lo farà, perché un governo che implode come quello M5S-Lega quasi costringe il presidente della Repubblica a nominare, dopo il dibattito parlamentare e le consultazioni, un esecutivo diverso, di «garanzia elettorale», che chiederà la fiducia alle camere ma resterà in carica anche se non la dovesse ottenere.

ALTRO DISCORSO è se questo esecutivo «di garanzia» debba farsi carico anche della manovra economica, visti i rischi di una mancata approvazione della legge di bilancio entro fine anno. Ma è eventualità (scarsa) da prendere in considerazione solo se quell’esecutivo avrà ottenuto la fiducia del parlamento.
Il problema più urgente è il Viminale. Il ministro in carica ha già dato prova di utilizzarlo per la sua propaganda (rischiando in qualche caso anche di danneggiare le indagini in corso). Ieri, firmando un altro divieto di ingresso per una nave Ong, Salvini è ripartito con l’utilizzo del suo mandato pubblico («per il quale gli italiani mi pagano lo stipendio», ripete spesso) per le finalità della campagna elettorale. A Termoli indossava una maglietta sportiva dell’Italia, ma lo rivedremo certamente comiziare con le insegne della polizia o dei carabinieri. Potrebbe continuare a farlo – ha ormai una collezione di divise – anche quando sarà sostituito alla guida del ministero dell’interno.

IL NUOVO MINISTRO (c’è da aspettarsi un esponente della macchina del Viminale, un prefetto) come tutto il governo avrà un mandato breve e limitato e la legge elettorale già pronta: Lega e 5 Stelle l’hanno appena modificata per renderla applicabile anche in caso di taglio dei parlamentari ma è stato tempo perso. Il Rosatellum adesso prevede una percentuale e non più una quota fissa di seggi assegnati con l’uninominale e con il proporzionale, ma la divisione resta quella del 2018: 231 seggi maggioritari e 386 proporzionali alla camera, 115 maggioritari e 193 proporzionali al senato (più Valle d’Aosta e estero).

Proprio perché la legge elettorale è ancora il Rosatellum, non vanno presi sul serio i ripetuti annunci di Salvini di voler correre da solo – ieri infatti ha parzialmente ritrattato, aggiungendo un «vedremo». Il sistema di voto premia le coalizioni che possono riuscire a conquistare il maggior numero di sfide maggioritarie nei collegi: se al nord e al centro i sondaggi vedono la Lega trionfate, al sud Salvini può aver bisogno di alleanze con i potentati locali (tipo Musumeci in Sicilia). Per lui non avrebbe senso rinunciare all’alleanza con Fratelli d’Italia: se per i sondaggi la Lega oggi ha da sola la percentuale che nel 2018 ha preso tutto il centrodestra (37%), il partito di Meloni (oggi stimato sul 7%) basta e avanza per consegnarli quei 50 deputati e 25 senatori che l’ultima vota sono mancati al centrodestra per raggiungere la maggioranza assoluta. Basterebbe ripetere i risultati delle europee, ha calcolato da tempo l’istituto Cattaneo.

La ragione è il premio di maggioranza implicito nel Rosatellum, che assegna in maniera nascosta un 10% di seggi in più al primo partito o alla prima coalizione. E, inoltre, consente di recuperare anche i voti dei partiti alleati più piccoli, basta che superino la soglia dell’1%: la lista di fuoriusciti da Forza Italia guidata da Toti può servire proprio a questo. Discorso da considerarsi invece chiuso per Berlusconi, che come si vede non è più indispensabile al leader della Lega e resta molto ingombrante come alleato da portare in giro nei comizi. D’altra parte i (pochi) parlamentari che eleggerebbe il Cavaliere da solo non faranno in ogni caso mancare il loro appoggio più o meno scoperto a un eventuale governo Salvini. Come hanno già fatto nell’ultimo anno al governo Conte-Salvini.