Agosto non porta bene a Matteo Salvini. Dopo le follie del 2019, quando gonfio di voti alle europee rovesciò il Conte 1 convinto di arrivare a palazzo Chigi e si ritrovo all’opposizione del Conte 2, anche quest’anno il mese delle vacanze lo vede in ritirata: isolato nel governo e anche nel partito, dove i nordisti tendenza Giorgetti e Zaia non gli hanno dato una mano per salvare il soldato di Latina Claudio Durigon, uomo chiave della nuova Lega personale che ha dimenticato il nord.

E sono pronti ad approfittare dell’occasione per ridimensionare il peso dei cosiddetti “nuovi leghisti”, mai stati nella vecchia Lega e legati a doppio filo col leader. Stretto al centro dal ministro dello Sviluppo economico che vorrebbe trainarlo nel Ppe e a destra da Giorgia Meloni che ieri a Roma ha incontrato il leader ungherese Victor Orban, rubandogli altro terreno sul fronte sovranista e no immigrati.

UN MOMENTO DIFFICILE. Dopo le dimissioni assai sofferte di Durigon dal ministero dell’Economia, Salvini pretende qualcosa in cambio: ma l’ipotesi che la ministra Lamorgese ceda le deleghe sull’immigrazione al suo fedelissimo Nicola Molteni a palazzo Chigi viene considerata irrealistica.

Ancora più inverosimili le dimissioni della stessa Lamorgese, richiesta che Salvini continua a ripetere come un disco rotto, almeno fino a quando la vedrà in un incontro a tre con Draghi. L’unica consolazione sarà la sostituzione di Durigon, casella in cui salgono le quotazioni dell’ex viceministro dei Trasporti Edoardo Rixi, che è stato assolto dall’accusa per le spese pazze in regione che l’aveva costretto (sotto il fuoco grillino) alle dimissioni dal Conte1 nel maggio 2019.

E COSÌ IERI NEL COMIZIO estivo nella “sua” Pinzolo ha provato ad andare al contrattacco, annunciando «un emendamento a mia prima firma per eliminare il reddito di cittadinanza», manovra con cui spera di far male al M5S col l’aiuto di Forza Italia e di Renzi. «Con i soldi del reddito finanziamo quota 100 e si rinviano le cartelle esattoriali», la proposta del leghista.

L’ALTRA VENDETTA (ma potrebbe essere un boomerang) Salvini la vuole giocare contro Enrico Letta, candidato alle suplettive di ottobre a Siena: «Dal 6 settembre girerò tutti i Comuni di quel collegio», annuncia.

L’argomento primo e unico sarà Mps, le dimissioni di Padoan da deputato per salire ai vertici di Unicredit, il rischio licenziamenti e chiusura degli sportelli. In quattro parole: «i disastri combinati dal Pd». Una sorta di caccia all’uomo contro il leader dem, quella che ha in mente il leghista, che già aveva provato a gennaio 2020 un simile exploit in Emilia Romagna contro Bonaccini, uscendone con le ossa rotte.

Per Siena, il leghista aveva scelto una figura civica come candidato, l’imprenditore del Chianti Tommaso Marocchesi Marzi, anche per depoliticizzare la sfida. E invece, dopo la botta presa su Durigon (il Pd ha pressato molto per le dimissioni), Salvini ha deciso di restituire il colpo: «Letta ha detto che se perde torna a Parigi, ehhh», dice alla piazza di Pinzolo, «cervelli in fuga».

SE L’ODORE DELLA SFIDA al totem del 5 stelle e al leader Pd sembrano risollevargli un poco il morale, poi si torna alla dura realtà, al «fegato» che gli duole per la coabitazione al governo. «Guardate, prima del 2023 non si vota perché i 5 stelle sanno che non saranno rieletti. Per me la vita sarebbe più comoda stando fuori dalla maggioranza, ma penso che siamo più utili dentro: senza di noi avrebbero già approvato lo ius soli, il ddl Zan, la patrimoniale e la tassa di successione». «Ma è dura, stateci vicini», chiede alla folla.

In realtà, anche per Salvini- come mai era accaduto – le comunali di ottobre saranno un test per la leadership. E se la destra dovesse spuntarla solo a Torino (a Bologna e Napoli è considerata già persa, Roma e Milano sono contendibili), per il capo quasi indiscusso la crisi potrebbe avvitarsi. Con l’ulteriore rischio di un sorpasso da parte di Giorgia Meloni, con un distacco che Roma potrebbe essere abissale.

Quanto a Milano, il candidato Luca Bernardo, il medi con la pistola, l’ha scelto Salvini. In caso di sconfitta nelle due città più grandi, la monarchia del «capitano» avrebbe vita assai breve.