Appena una settimana fa i collaboratori di Salvini sottolineavano come la Lega evitasse di colpire Di Maio dove fa più male, cioè mettendo in campo nella rissa elettorale l’aumento dei morti sul lavoro. Ieri quella remora è saltata: «Quando Di Maio smette di insultarmi cominci a pensare ai morti sul lavoro». Quella del capo leghista è una mazzata vibrata con cattiveria che si spiega sia con il palese smarrimento a fronte dell’offensiva dei soci («Non capisco perché per Di Maio sono diventato il male assoluto»), sia con la sensazione di essere chiuso in un accerchiamento ogni giorno più stringente. Salvini non è il primo leader italiano a cui capita di trovarsi in questa situazione. L’inedito è che per la prima volta un partito alleato si schiera puntualmente con il nemico di turno. Non era mai successo ed è questo elemento che rischia di far deragliare il treno gialloverde anche quando, dopo il voto, la furia grillina si sarà calmata. Come Di Maio promette per via traverse agli alleati che succederà.

INTANTO PERÒ I COLPI si moltiplicano. Gli arresti domiciliari disposti per il sindaco leghista di Legnano Gianbattista Fratus, accusato di aver pilotato alcune nomine con bandi preconfezionati, sono il colpo più duro nel quotidiano bollettino di guerra. Ai domiciliari è finita anche l’assessora alle Opere pubbliche Lazzarin mentre il vicesindaco e assessore al Bilancio Cozzi è dietro le sbarre. Sono entrambi forzisti ma il pesce grosso è il sindaco, vicino a Salvini, tanto che nell’ordinanza di arresto, dove si parla di «logiche di supremazia personale e di controllo totalitario delle amministrazioni», compare anche il nome del capo.

Il Comune era in realtà già sciolto, la nomina del commissario attesa da un giorno all’altro. Anche per questo i leghisti sono convinti che la tempistica dell’arresto non sia affatto casuale. E arriva in contemporanea con l’inchiesta aperta dalla Corte dei Conti proprio su Salvini, sospetto di uso privato dei voli di Stato Una gragnuola di colpi che i 5S accoglie con sonori applausi e che Salvini fatica a schivare. Sul sindaco se la cava confermando la fiducia «sia nei miei uomini che nella magistratura», mentre i soci chiamano alla scelta «tra noi e la nuova tangentopoli» il 26 maggio.

IL CAPO LEGHISTA È DUNQUE isolato anche nel governo. Ieri il ministro Tria, a Bruxelles per l’Eurogruppo, ha liquidato i suoi ruggiti sulla possibilità di sfondare il tetto del deficit con una formula quasi sprezzante: «Tranquilli: il debito sarà come prevede il Def che Salvini ha votato». Tria gioca in casa, sostenuto a sorpresa dai 5S convertitisi al culto di Maastricht. Per Salvini, invece, il miraggio di un’Europa condizionata dalla forza dei sovranisti e dalla necessità del Ppe di allearsi con loro è svanito con il pronunciamento di Angela Merkel e di tutti i capilista delle formazioni europee, che lo indicano come il nemico da battere e certo non come un leader con cui si possa alleare.

Arrivato alle ultime battute di una campagna elettorale che da marcia trionfale si è mutata in incubo, il leader leghista non riesce a reagire. «La Lega è sotto attacco. Vogliono impedirci a ogni costo di vincere», twitta chiamando all’adunata di sabato a Milano. Ma dal vicolo cieco non sa uscire. L’arma per l’ultima e decisiva settimana prima del voto dovrebbe essere il decreto sicurezza bis. Se i 5S lo votano perdono ogni credibilità a sinistra, se lo bocciano si espongono all’accusa di aver tradito gli accordi proprio sul terreno sul quale il leghista si trova più a suo agio, quello dell’immigrazione. Ovvio che i pentastellati tirino a non concedergli il vantaggio rinviando. Ieri, in sede di pre-consiglio dei ministri, il decreto c’era. I ministri ne hanno discusso. Toninelli e Bonafede, i più direttamente coinvolti nel progetto di multare chiunque osi salvare vite nel Mediterraneo, hanno avanzato dubbi a iosa sugli aspetti legali del provvedimento. La parola finale dovrebbe essere detta dal cdm non ancora fissato ma che quasi certamente si riunirà lunedì. Ma che il decreto sia all’ordine del giorno non è affatto certo e ancor meno lo è che venga approvato o apertamente bocciato.

MA L’INDECISIONE di un Salvini che sembra ormai un pugile suonato non si limita all’ultimo scorcio di campagna elettorale. Il vero dilemma è cosa fare dopo: difendere l’alleanza con un socio che si è dimostrato capace di passare di colpo all’ostilità totale o sfidare la crisi con il sospetto che tutte le parole di Zingaretti, Berlusconi e anche del Colle sul voto come unico sbocco alla crisi siano solo un’esca per poi battere tutt’altre strade, in nome dell’emergenza economica, senza sciogliere le Camere e intrappolando la Lega? Salvini non lo sa. La realtà è che oggi nessuno è più indeciso del leader decisionista.