Nessuna crisi, neppure se vinciamo in Basilicata e alle europee, e nessun rimpasto. La prima rassicurazione Salvini la aveva già dispensata più volte. La seconda no. Al contrario, l’idea di un rimpasto dopo le europee, in caso di sorpasso netto sui soci, nella Lega circolava ampiamente. Ma ora è più urgente difendere il governo. Un risultato tanto negativo per i 5S la Lega non se lo aspettava e non ne gioisce. O almeno non gioisce Salvini, deciso a difendere la maggioranza. Nell’esultanza da stadio con cui festeggia la sesta vittoria contro il centrosinistra («Sei a zero») c’è anche l’esigenza di stornare l’attenzione dal tracollo dei soci. Anche il Carroccio non ha raggiunto i risultati sperati, ma il vicepremier non ha tutti i torti nel negare il flop. E’ vero infatti che la percentuale è rimasta identica o quasi a quella del 2018, ma allora Lega e Partito sardo d’azione si presentavano insieme. Stavolta hanno schierato due liste distinte e nel complesso hanno raddoppiato.

Ma la percentuale è l’ultima delle preoccupazioni del leader leghista. La prima è che Di Maio non regga l’urto e il Movimento imploda trascinando nella deflagrazione il governo. Non succederà, o almeno non ora. Tra i 5S la reazione è opposta: avvinghiarsi alla maggioranza per evitare elezioni anticipate che sarebbero oggi tombali puntando tutto sulla riorganizzazione interna e sperando che il reddito di cittadinanza faccia risalire le azioni. Ma per questo ci vuole tempo: una crisi subito è quanto di più temibile per Di Maio e Casaleggio.

La seconda e più realistica preoccupazione riguarda l’azione di governo, e in particolare i due grandi contenziosi in corso: Tav e autonomie. La reazione dei 5S allo shock sardo è da quel punto di vista un’incognita. Non è affatto escluso l’irrigidimento. Salvini è pronto a fare ogni sforzo diplomatico ma su Tav, autonomie e legittima difesa non può mollare. Non glielo permetterebbe la sua stessa area sociale di riferimento del nord ma incontrerebbe resistenze serie anche nel suo stesso stato maggiore. Giorgetti, che tra tutti i leghisti è forse il più insofferente nei confronti dei 5S, scalpita: «Il Paese deve rimettersi in moto. Questa deve diventare la stagione dei sì». Il sottosegretario non parla esplicitamente di Tav ma il riferimento è chiaro. Si schiera anche Tria: «Se il governo non rispetta i patti nessuno investe più. Non mi interessa l’analisi costi-benefici: il problema è questo». Per risolvere il rebus, Salvini dovrà fare miracoli di diplomazia.

Ma il problema più serio per il leghista è un altro: in Sardegna, come in Abruzzo, la sfida è stata tra destra e sinistra, con i 5S fuori gioco. Non è ancora un rovesciamento del quadro rispetto alle elezioni del 2018 ma la tendenza è quella. Se confermata ed estesa a livello nazionale, quella tendenza spingerebbe inesorabilmente il Carroccio tra le braccia di Berlusconi. «La Lega non è autosufficiente», ha ripetuto ieri il Cavaliere ai suoi ufficiali con viva soddisfazione. Il «ritorno al passato» e al fronteggiamento tra centrodestra-centrosinistra limiterebbe in sommo grado la libertà di movimento di cui gode attualmente Salvini e lo costringerebbe a rinchiudersi in un’alleanza nella quale Fi, pur se con una percentuale di voti limitata, lo condizionerebbe e lo terrebbe costantemente sotto scacco. Per motivi diversi da quelli di Di Maio, dunque, il voto sardo spinge anche il leghista a difendere più che mai il governo.