Alla fine anche il terzo italiano presente all’incontro dell’Hotel Metropol di Mosca, il 18 ottobre scorso, ha un nome. Si chiama Francesco Vannucci, ha 62 anni, è indispettito dall’essere stato indicato come «nonno Francesco» e, spiega, si trovava al Metropol in veste di consulente bancario dell’avvocato internazionale Gianluca Meranda, il secondo uomo del gruppetto oltre al leghista Savoini. Vannucci è secco: «Non ci sono state situazioni diverse rispetto a quelle previste dalle normative che disciplinano i rapporti d’affari».

ALMENO IL MISTERO dei partecipanti italiani all’incontro è a questo punto risolto. In altissimo mare, invece, il contenzioso sulla presenza di Matteo Salvini in Parlamento per riferire sul caso: tanto lontano dal risolversi che il Pd ha deciso ieri sera di occupare la commissione Affari costituzionali della Camera, dove era in discussione il dl Sicurezza bis. Salvini, bontà sua, è disposto a rispondere a eventuali interrogazioni sul caso. Ma solo nel question time, cioè in una sede secondaria, col minimo di clamore e visibilità: «In Parlamento ci vado bisettimanalmente e rispondo su tutto lo scibile. Se qualcuno chiede io rispondo».
Non può bastare. Il Pd non ci sta. «Non molliamo. Salvini venga in aula senza reticenze e omissioni», intima Nicola Zingaretti dopo aver riunito la segreteria. Il coro dei dirigenti martella. La coreografia non manca, con Andrea Romano che nell’aula di Montecitorio interviene in russo e Fiano che sciorina le domande già pronte per Salvini. Ma per obbligare il ministro a rispondere in aula non bastano le messe in scena pittoresche. Devono muoversi le istituzioni. Per questo Zingaretti ha incontrato ieri la presidente del Senato Casellati e oggi sarà il turno del collega che preside la Camera, Fico.

Elisabetta Casellati è a propria volta sotto tiro: accusata di aver preso sottogamba la faccenda. Renzi bolla «il comportamento profondamente irrispettoso del Parlamento e istituzionalmente scorretto» della seconda cittadina dello Stato. «Dalla presidente ci aspettiamo la data in cui Conte verrà a riferire in aula», afferma gelida la vicepresidente dei senatori dem Malpezzi alla vigilia dell’incontro. La richiesta del Pd è infatti doppia: Conte al Senato, Salvini alla Camera. Ma nella conferenza dei capigruppo di Montecitorio la Lega nega la disponibilità del suo leader e il Pd occupa la commissione.

SE A BATTERE I PUGNI fosse solo il Pd per Salvini il problema sarebbe di facile risoluzione. Ma a insistere è anche l’M5S e il compito di tenere insieme una richiesta ostile al socio e l’esigenza di difendere l’alleanza con il medesimo costringe Di Maio a giochi di prestigio spericolati. Riprendendo la tesi di Zingaretti, accusa il collega vicepremier di aver convocato le parti sociali al Viminale, lunedì, solo per distrarre il volgo: «Chi vuole incontrare i sindacati può farlo. Quel che mi dà fastidio è che lo si faccia per sviare l’attenzione da una questione molto più importante». Il Pd gongola con entusiasmo degno di miglior causa: l’accusa è infondata, essendo la riunione che ha fatto imbizzarrire Conte convocata da prima che Buzzfeed diffondesse la registrazione del Metropol.

I VOLTEGGIAMENTI di Luigi Di Maio vanno molto oltre. Si dice infatti certo che Salvini riferirà in Parlamento «così ci darà modo come maggioranza di difenderlo». E’ lo stesso doppio gioco che i 5S tentano sulla commissione d’inchiesta chiesta dal Pd. Nelle intenzione del partito di Zingaretti dovrebbe trattarsi di un’inchiesta focalizzata solo sui rapporti tra la Lega e Putin, il cui portavoce Peskov smentisce che dalla Russia siano mai partiti finanziamenti di sorta. I 5S questo non possono appoggiarlo. Ma non vogliono nemmeno lasciar cadere una vicenda che mette in forte imbarazzo l’alleato/nemico. Quindi sterzano verso la commissione incaricata di indagare su tutto e tutti, dunque a naufragare nel caos, e alla Lega va benissimo. «Strepitano per ottenere visibilità ma sono in ginocchio da Salvini», chiosa la capogruppo di LeU De Petris. Gioco che potrebbe però diventare difficile quando si arriverà ai nodi reali. L’eventuale condanna per abuso d’ufficio del viceministro Garavaglia nella sentenza di oggi non dovrebbe creare problemi enormi: ha fatto già sapere che si dimetterebbe. Ma venerdì ripartirà il duello sulle autonomie e dietro l’angolo, entro il 26 luglio, c’è la scelta finale sulla Tav.