Dopo il voltafaccia sul ddl Zan di dubbi ne erano rimasti davvero pochi sul fatto che Renzi stesse trattando per entrare nel centrodestra da qualche porticina laterale.

IERI LA CONFERMA È ARRIVATA dal Giornale di Berlusconi. In un retroscena sull’ultimo incontro di Salvini con i suoi eletti -rivela il quotidiano – il capo leghista ha elencato gli alleati in quest’ordine: «Meloni, Berlusconi, Toti, Cesa e Renzi». Lo stupore tra le camicie verdi presenti è durato un batter d’ali. Salvini si riferiva agli alleati per il Quirinale, ma è evidente che la saldatura in quel voto sarà solo l’antipasto di quello che avverrà alle elezioni politiche: con Renzi convinto di poter dar vita a un “centrino” con Toti, Brugnaro e Quagliariello, una sorta di replay di «Noi con l’Italia», il reticolo di micropartiti guidato da Maurizio Lupi che alle elezioni del 2018 (risultato: 1,3%) è stata l’ala moderata del centrodestra.

IL COMING OUT DI SALVINI sull’alleanza con l’altro Matteo, già acerrimo nemico, non deve stupire: l’obiettivo del fu rottamatore è ottenere un manipolo di collegi sicuri per poter garantire un futuro politico ai suoi pretoriani. E la partita passa dal Colle, visto che Renzi sta cercando di convincere il leghista e Meloni a votare un candidato di centrodestra diverso da Berlusconi, un uomo o una donna meno impresentabile e tuttavia dalla chiara impronta conservatrice, da Marcello Pera a Elisabetta Casellati. I numeri di questo Parlamento dicono che è possibile.

Non a caso ieri Enrico Letta, durante una iniziativa con Giuseppe Conte, ha avvertito: «Un’elezione “modello Leone” con 505 voti sarebbe una grave ferita istituzionale al Paese: chi si assume la responsabilità di questo progetto fa un grande danno e non ha capito il tempo che sta vivendo questo Paese». E ancora: «Sulla scelta del Quirinale ognuno dovrebbe rinfoderare le baionette». «Non escludo una iniziativa comune col Pd», ha detto Conte.

IERI UN ALTRO TASSELLO del matrimonio Renzi-Salvini è andato al suo posto: il centrodestra ha votato a favore di Renzi nella giunta per le immunità del Senato a proposito del materiale raccolto dai pm nell’inchiesta sulla fondazione Open. La giunta infatti ha approvato con tutti i voti del centrodestra compresa Italia Viva (14 sì, Pd e M5S si sono astenuti e Pietro Grasso ha votato contro) la relazione della senatrice di Fi Fiammetta Modena, che proponeva di sollevare il conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale contro i pm di Firenze che indagano su Open.

Secondo Modena i magistrati avrebbero inserito nel fascicolo dell’inchiesta le chat con Vincenzo Manes del giugno 2018 (in cui il leader di Iv cercava un volo per gli Usa, poi pagato dalla fondazione) senza aver avuto una autorizzazione preventiva del Senato. Nel giugno 2018 Renzi infatti era già stato eletto a palazzo Madama. Ora la parola passa all’aula per il voto decisivo. «La giunta riconosce che esiste una violazione della Costituzione da parte dei Pm fiorentini Turco e Nastasi», gongola Renzi. «Io non scappo dalla giustizia, io chiedo giustizia. Spiace per il Pd che insegue Conte e i suoi adepti nel peggior populismo giudiziario».

VANNO PEGGIO LE COSE per Renzi al collegio di Roma centro. I rumors di palazzo dicono che al capo di Iv è stato suggerito dall’alto di non esporre al massacro la ministra della famiglia Elena Bonetti, per non creare imbarazzo al governo. Di qui la scelta di schierare il consigliere comunale Valerio Casini, eletto in Campidoglio con Calenda. Renzi ne approfitta per un attacco scomposto alla candidata Pd Cecilia D’Elia: «Una dirigente che quando noi portavamo il Pd al 41% era contro il Pd e non c’entra nulla con la storia riformista (era in Sel, ndr). Il 16 gennaio alle suppletive vedremo se Iv vale solo il 2%».