Può sembrare strano, ma tra tutti i partiti quello che più si mostra ragionevole, a tratti persino cedevole, comunque rassicurante, è la ringhiosa Lega di Matteo Salvini. Ieri sera il leader del Carroccio si è di nuovo sforzato di tranquillizzare il Berlusconi comprensibilmente spaventato dal rischio di nuove elezioni a breve: «Se Di Maio telefona, io ho qui il telefono e rispondo a tutti. Cercherò di metterci il meno tempo possibile per un governo che non duri cinque mesi ma dieci anni».

Più delle parole contano però i fatti. È un fatto che la Lega abbia accettato di cedere il Friuli, regione dove può fare il bello e il cattivo tempo, sacrificando la candidatura di Fedriga per quella di Tondo. Non è ancora un fatto, ma da quel che si coglie potrebbe diventarlo la settimana prossima, la disponibilità a concedere la presidenza del Senato a Forza Italia. «Noi non vogliamo affatto eleggere i presidenti solo tra M5S e Lega», ha garantito Giorgetti, in un’intervista che per diplomazia e felpatezza non aveva nulla da invidiare a quella di un democristiano dei bei tempi.

È VERO CHE AL SENATO, dopo qualche accorpamento provvidenziale, il gruppo azzurro è ora il più forte a destra, con 61 senatori. È anche vero che il candidato forzista, Paolo Romani, è esponente di spicco di quella «Fi del nord» che ha sempre guardato con favore all’unificazione tra il partito azzurro e il Carroccio. Non proprio Toti ma quasi. Tuttavia l’eventuale passo indietro della Lega sulla presidenza di entrambe le camere è una mossa politica indiscutibilmente unitaria.

In politica i toni contano spesso quasi quanto i fatti. Dalla notte delle elezioni non una sola volta la Lega ha usato parole men che cordiali nei confronti di Fi. Di fronte a ogni dissenso Salvini, ineffabile, ha semplicemente negato l’evidenza assicurando sempre che con Silvio l’intesa è invece perfetta. Nessuno, dagli spalti della Lega, ha mai risposto al più agguerrito tra i forzisti, Brunetta, e alle accuse ripetute ogni giorno, anche ieri, di andare avanti a forza di strappi. È vero che sul capogruppo hanno sparato a zero i giornali del gruppo Angelucci, con tanta violenza che ieri Brunetta ha annunciato denuncia e incassato la solidarietà di tutta Fi a partire da Berlusconi. Ma Angelucci, in fondo, è eletto con Forza Italia, mica con la Lega.

L’OFFENSIVA DI PACE di Salvini, però, non rassicura affatto Arcore e le sparate di Brunetta, che accusa spesso gli alleati di brigare con M5S, non sono affatto bordate peregrine e solitarie. I sondaggi recapitati ad Arcore parlano chiaro: se si votasse oggi la Lega vampirizzerebbe il partito azzurro portando via agli amiconi circa il 4% dei consensi. Salvini ha dunque tutto l’interesse a restare avvinghiato alla coalizione, ma anche, sospettano gli alti ufficiali forzisti e probabilmente non a torto, a votare il prima possibile. Senza strappi e senza alzare i toni, si limita quindi ad aspettare che le nuove elezioni gli cadano in mano, senza che la Lega ne appaia in alcun modo responsabile. L’allusione di Giorgetti, per cui un governo Lega-M5S solo per modificare la legge elettorale (con premio o premietto di maggioranza), potrebbe essere «l’extrema ratio prima della disperazione», suonano più speranzose che spaventate, almeno alle orecchie di Berlusconi.

UN PROBLEMA PERÒ C’È: la paura leghista che M5S voglia adoperare la presidenza della Camera, se la conquisterà, per varare a spron battuto, senza nemmeno passare per l’aula, la legge sui vitalizi e poi brandirla in campagna elettorale. In quel caso il Carroccio non esclude la possibilità di far saltare tutto subito.