Si incrina il tentativo del M5S di giungere alla manifestazione torinese di domani senza polemiche e senza rischi di aperta contestazione, a causa di una strategia giudicata appena sufficiente dal movimento NoTav. A rovinare la fragile tregua tra la piazza di domani – che si preannuncia ancor più massiccia di quella riempita dai sostenitori della grande opera il dieci novembre – e il M5s di governo sono, come da meccanismo ormai collaudato, Matteo Salvini e la Lega. Che ad ogni mossa volta a dilatare i tempi decisionali, contrappongono una sventagliata di affermazioni perentoriamente pro Tav.

«Sulla Tav io tifo per il sì sempre e comunque. Aspettiamo l’esame finale dei tecnici ma l’Italia ha bisogno di più infrastrutture non di meno infrastrutture»: queste le parole con cui Matteo Salvini ha manifestato per l’ennesima volta la sua volontà pro Tav e non solo. Seguita poi da una più timida professione di fede nella valutazione costi-benefici.

Il leader degli industriali, Vincenzo Boccia ha accettato l’invito «per un caffè» rivoltogli dal vicepremier leghista martedì scorso, il giorno dopo il cosiddetto “incontro del partito del Pil” tenutosi a Torino il lunedì per dire sì alla Tav e contro la manovra del governo. «Un caffè non basta, questa volta ce ne vogliono dodici», era stata la risposta del presidente di Confindustria.

La riunione, che si terrà al Viminale domenica 11, il giorno dopo la manifestazione di Torino, vedrà la presenza del pro console del nord Giancarlo Giorgetti, chiaro segno di estrema vicinanza politica al mondo industriale, che nell’incontro con Conte, Toninelli, Di Maio e Castelli aveva trovato un muro di gomma. Saranno presenti quindi Confindustria, Confcommercio, Confesercenti, Casartigiani, Confartigianato, Cna, Confagricoltura, Confapi, Ance, Legacoop, Confcooperative, Agci: coloro che dicono di «rappresentare tre milioni di imprese e il 65% del Pil».

Una mossa, quella del ministro dell’Interno per azzerare la visibilità della piazza NoTav e sabotare ogni resistenza del M5s alla Torino-Lione negando la strategia dell’allungamento dei tempi almeno fino alle elezioni europee della prossima primavera, per mantenere salda l’alleanza politica con gli imprenditori che le grandi opere le vogliano fare tutte: non solo il Tav.

Ma la tenaglia sembra stringersi anche dal versante europeo, quello che solo due giorni fa il ministro Toninelli pareva aver sedato con un accordo chiuso con l’omologa francese Elisabeth Borne. I due rimandavano sine die lo sblocco dei canteri da appaltare da Telt, certificando tutto con la firma di un documento congiunto dall’interpretazione ambigua.

A chiarire, e quindi a smontare questo meccanismo volto a prendere tempo, sono giunte le parole del portavoce della Commissione europea per i Trasporti Enrico Brivio: «La Commissione – ha spiegato – non può escludere che potrebbe essere costretta a chiedere all’Italia di restituire i contributi già concessi nell’ambito della Connecting Europe Facility per la Tav Torino-Lione, se non saranno spesi ragionevolmente in linea con le scadenze previste dall’accordo di finanziamento, in applicazione del principio o si utilizza o si perde».

Il portavoce della Commissione Ue ha aggiunto che al momento non è possibile fare previsioni su quali somme dovrebbero essere restituite, ma ha concluso con un’affermazione perentoria: «Noi speriamo che questo non accada dato che crediamo che la Torino-Lione sia un progetto importante». Evidenziando così che la Commissione Ue, almeno quella attuale, non è terza, ma si schiera apertamente a favore dell’opera.

Alla “precisazione” del portavoce della Commissione Europea ha risposto il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli con tweet: «Come detto di persona alla Commissaria Bulc sulla Tav, l’Ue non si preoccupi. Tutto l’iter sarà gestito in condivisione con la Francia e nel rispetto del contratto di governo. Non verranno sprecati soldi pubblici e, anzi, saranno utilizzati al meglio per il bene dei cittadini».