«Vogliamo andare al governo e stiamo già lavorando alla squadra. Sono pronto a incontrare tutte le forze politiche presenti in Parlamento»: la nota che Matteo Salvini diffonde nel tardo pomeriggio sembra una ovvietà. Non lo è affatto. Sullo sfondo si delinea infatti lo scontro sotto traccia ma durissimo tra il capo leghista e il leader di Fi per la guida reale della destra. Quello a cui allude Berlusconi quando assegna a se stesso il ruolo di» «regista» della coalizione.

QUEL CHE SALVINI CHIEDE, nel linguaggio cifrato della politica, è un mandato esplorativo, contromossa per parare la strategia di Arcore. Il leader azzurro non ha intenzione di sabotare in alcun modo il tentativo dell’alleato di dar vita a un governo, ma neppure di spendersi per facilitargli l’improbabile successo. Mira invece a aspettare che Salvini si bruci per poi cercare di tessere la tela di un governo di minoranza, manovra che farebbe perno sull’indicazione di un premier ben diverso, come fisionomia politica, dal ringhioso capo del Carroccio e molto più gradito sia a Bruxelles che sul Colle. Va da sé che il successo di un simile capolavoro diplomatico sancirebbe la leadership del signore d’Arcore, nonostante lo smacco del sorpasso leghista nelle urne. Ma anche se andasse a vuoto, il tentativo confermerebbe che il «regista» del centrodestra, vera guida della coalizione, è ancora Silvio l’Immortale.

IL LEGHISTA, CHE DIETRO le sparate da campagna elettorale non è affatto ingenuo o sprovveduto, sa di dover mandare a vuoto la manovra se vuole procedere con quell’operazione di colonizzazione di Fi che ha in mente. Dunque tira al mandato esplorativo, sia per non bruciarsi, sia per occupare in prima persona la cabina di regia. Il vincitore del 4 marzo sa benissimo che all’interno di Fi le resistenze saranno fortissime. Ieri, pranzando a Portofino con il suo principale alleato nel partito azzurro, il governatore della Liguria Toti, ha fatto il punto sulla situazione, concordando sulla necessità di partire dal basso più che dai gruppi dirigenti dove le resistenze, soprattutto nella Forza Italia del sud, sono fortissime. La partita che si giocherà intorno al tentativo di formare il governo sarà comunque decisiva per decidere chi eserciterà l’egemonia nella destra.

PROBABILMENTE Salvini si fa poche illusioni sull’esito della sfida per quanto riguarda la conquista di palazzo Chigi. I leghisti considerano però un’opzione quasi altrettanto vantaggiosa la nascita di una maggioranza M5S-Pd. Ieri, dopo la proroga, del resto annunciata, dei vertici dei servizi segreti da parte di un governo col bollino scaduto e dopo le tiepide proteste dei 5S, Salvini non ha perso l’occasione per tirare una bordata, alludendo a ben altro: «La proroga è una vergogna. Non vorrei che fosse l’anticamera di un accordo M5S-Pd, visto il silenzio dei pentastellati».

Il leghista finge di temere un’ipotesi che in realtà si augura. Basta chiacchierare con gli ufficiali leghisti per scoprire che in via Bellerio l’accordo di governo tra Di Maio e il Nazareno verrebbe preso come un terno al lotto, secondo solo alla formazione di un governo Salvini. Non solo perché la destra, unica opposizione «anti-inciucio», godrebbe di una rendita di posizione da alta speculazione, ma anche perché quella formula agevolerebbe Salvini nella missione, tutt’altro che priva di ostacoli, di «colonizzare» Forza Italia, spostandola su posizioni molto più vicine a quelle del Carroccio.

LA PRIMA VERA PROVA arriverà con l’elezione dei presidenti delle Camere, ma quello è un passaggio doloroso per la Lega che teme di restare a bocca asciutta, con una spartizione tra 5 Stelle e Pd, senza che poi segua quella maggioranza ibrida che compenserebbe il danno con tanto di interessi. In effetti quella maggioranza ha pochissime possibilità di nascere. Il danno d’immagine sarebbe pesante per il Movimento di Grillo, esiziale per un Pd allo stremo.
Fino all’accordo sulla presidenza delle Camere i due gruppi fino a ieri acerrimi nemici possono arrivare. Oltre quasi certamente no. Ma se Luigi Di Maio accettasse di fare un passo indietro, aprendo le porte a un governo tecnico sostenuto dalla medesima maggioranza M5S-Pd, Salvini ne sarebbe ugualmente felice.