Gli ‘assolo’ mediatici martellanti di Salvini, alla luce dell’esperienza della comunicazione politica di Matteo Renzi, si prestano bene ad una seria riflessione sulla leadership odierna e sulla sua estrema volatilità. Dopo la lezione renziana bisognerebbe aver capito che la ‘disintermediazione’ e la ipermediatizzazione non solo non è detto che sia sempre un bene e che aiuti la politica a fare meglio il suo lavoro, ma nemmeno che garantisca consensi. L’esperienza dell’ex sindaco toscano insegna che una leadership costruita su queste basi non dura. Le leadership oggi vincenti, Di Maio e soprattutto Salvini, non ne sembrano affatto consapevoli.

Soprattutto Matteo Salvini fa della velocità e dell’anticipo sull’avversario, della presenza ossessiva sui media, in particolare la tv e il web, il cuore della sua della strategia di comunicazione: con slogan, frasi ad effetto, parole d’ordine, imperativi. Ogni giorno. E’ un film già visto, che ha avuto come protagonista, con poco profitto, l’ex sindaco di Firenze. Ma media e velocità sono nemici della durata. Certo la retorica della rottamazione e del nuovo è stata rimpiazzata da un più robusto, e più becero, sovranismo securitario, ma non è detto che duri nemmeno questo.

E a questo riguardo non è inutile ricordare come la leadership di Berlusconi avesse un suo substrato molto più solido, sia rispetto a quella dell’ex sindaco fiorentino, sia rispetto al nuovo capo della Lega. Un substrato che affondava su la sua (controversa) storia personale di imprenditore di successo e nel suo (pur discutibile) stile di vita (quello che gli studiosi chiamano la lifestyle politics), ma che aveva trovato anche un altro stabile terreno di sviluppo sulla ‘mutazione individualista’(Gozzini) introdotta in oltre un decennio dalle sue reti commerciali.

Così come la primazia politica di Renzi è stata presto insidiata dai limiti del presentismo televisivo, della mediatizzazione spasmodica, così quella di Salvini rischia di finire fagocitata dalle sue stesse strategie. Non a breve, certo, ma forse prima di quanto non si immagini. Del resto anche con Renzi la punta straordinaria del 70% di gradimento degli italiani registratasi nel giugno 2014, cinque mesi dopo precipitava di venti punti.

Il problema è che la comunicazione di Salvini, come quella renziana per altri versi prima di lui, si è presentata da subito con caratteri estremi: chi ricorda oggi l’effetto, e lo stupore, di fronte alla conferenza stampa delle slide di Renzi a marzo 2014, l’arrendevole meraviglia dell’opinione pubblica di fronte alla sua prima arrembante campagna mediatica?

Ogni estremismo in questo campo è ad alto rischio, anche perché se troppo ricca di annunci, che non sempre giocoforza possono essere mantenuti, la comunicazione politica si capovolge nel suo contrario. Anche Salvini, dunque, ha scelto una comunicazione ‘dopata’, una comunicazione rivolta a sollecitare continuamente il pubblico per catturarne l’attenzione: ma è una scelta che può provocare, ed ha provocato in passato, così giocata, un inesorabile effetto rebound. Christian Salmon sul punto ha scritto parole quanto mai attuali: se si sollecita troppo e continuamente l’attenzione della gente, «l’uomo politico si espone ad una sorta di effetto feed-back sotto forma di delusione e di disincanto».

Salvini potrebbe essere l’ennesimo esempio di uomo politico che cannibalizza se stesso, nella quotidiana cerimonia mediatica che officia con tanta puntualità e passione.