Nervosismo, esaltazione o freddo calcolo? Nello show che il ministro Salvini allestisce prima a Milano Marittima, nella conferenza stampa di presentazione della Festa della Lega, poi per tutto il giorno, volteggiando tra un’intervista e l’altra, ci sono tutti e tre questi elementi. Nervosismo, perché il caso Siri diventa ogni giorno più spinoso ma anche perché tenere insieme la maggioranza si fa ogni giorno più difficile. Esaltazione, perché Salvini, pompato appunto dai sondaggi che non calano e anzi salgono è ormai convinto di potersi permettere tutto. Ma anche calcolo, perché l’uomo sente a pelle che la parte che recita scandalizza e irrita qualcuno ma quelli a cui piace sono molto di più.

In conferenza stampa il leghista se la prende col giornalista di Repubblica che aveva filmato suo figlio sulla moto della polizia. Gli risponde a muso duro: «Vada a riprendere i bambini, visto che le piace tanto». Su Sky sbotta greve parlando del governo tedesco: «Si erano impegnati a prendere 30 della Gregoretti, adesso pare che li prendono solo se facciamo sbarcare i 40 della Alan Kurdi. Mi sono rotto le palle». Infine, parlando di una donna rom che lo aveva contestato, anche lei in modo particolarmente pesante e parlando di proiettili, scivola sull’apertamente razzista: «Zingaraccia».

Sceneggiata, certo, ma sullo sfondo si intravede una tensione reale. Perché ormai la sfida con i soci di governo ha rotto ogni argine, è guerra aperta. Il confronto sulla giustizia è degenerato in rissa. Uscendo a notte tarda da palazzo Chigi, dopo essere stato passato per ore al tritacarne dalla ministra Bongiorno, il guardasigilli Bonafede si era fatto scappare la verità, salvo poi correggere col solito politichese: «La riforma non è passata». E’ proprio così. Formalmente approvata «salvo intese» la riforma «epocale» non sarà sul tavolo del prossimo cdm, l’ultimo prima della pausa estiva. Servirebbe solo a riaprire il match inutilmente. Di fatto è sul binario morto. Salvini non la manda a dire: «E’ una riforma inutile, che non votiamo». Giulia Bongiorno infierisce e specifica che non ci sono solo i tempi del processo, inaccettabili per la Lega perché troppo lunghi. Serve un impegno formale a varare la separazione delle carriere.

La stessa Bongiorno, a sera, prova a stemperare: «Bonafede sapeva che sulla sua riforma non eravamo d’accordo. Ciò non significa che sia su un binario morto». Sarà, ma con i pentastellati che accusano i soci di mirare solo a far saltare la legge che riduce di brutta i termini della prescrizione e Salvini che li indica come fautori di «uno Stato di polizia» forse il binario morto è l’opzione più sicura. Se ripartono possono solo andare a sbattere.

Di Maio, e a maggior ragione Di Battista, martellano accusando, chi più che meno esplicitamente, il socio di essere un clone dell’odiatissimo Silvio. «I leghisti si mettessero in testa che non stanno governando con Berlusconi», spara più lieve il primo. Dibba è meno diplomatico: «La Lega è un partito di sistema che si camuffa meglio degli altri». Con l’abituale coro quotidiano di accuse identiche rinfacciate l’uno all’altro. Dicono sempre di no su tutto»: stesse parole, sia che parli Salvini sia che replichi Di Maio. In queste condizioni andare avanti, come Salvini è deciso a fare almeno fino a che non sarà alle spalle la trappola della legge di bilancio, è un’impresa forse troppo ardua. Lo sarà ancora di più dopo il voto di fiducia al Senato sul dl Sicurezza, martedì prossimo. La fiducia ci sarà, su questo quasi non c’è dubbio. Ma è probabile che sarà dovuta non alle presenze in aula della maggioranza bensì alle assenze strategiche dell’opposizione, di Fi e di FdI. Dopo la riforma costituzionale passata solo grazie all’appoggio di FdI sarà la conferma che nella realtà dei fatti in Parlamento c’è già una maggioranza variabile. La sceneggiata del voto sulla Tav confermerà. Solo la mozione di alcuni senatori del Misto, a prima firma De Petris, chiede apertamente di impegnare il governo a bloccare l’opera e dimostra conti alla mano che la convenienza economica è un’invenzione di Conte. Per tutti gli altri, M5S incluso, si tratta solo di dimostrare che la maggioranza è ormai tale solo di nome.