È una controffensiva mediatica in piena regola quella che la destra scatena dopo una settimana di sganassoni, con Salvini per la prima volta da mesi col piglio del leader della coalizione. Si rivolge direttamente a Draghi, che vedrà poche ore dopo nel primo degli incontri settimanali decisi per uscire dalla turbolenza della riforma del catasto: «Sono preoccupato che qualcuno porti in Italia solo un’idea di passato. Tirare fuori gli scheletri dall’armadio non fa bene. Di alcuni ministri non mi fido e mi rivolgo al manager del governo: non può permettere quanto sta accadendo».

È un messaggio doppio. Da un lato c’è il nuovo attacco contro la ministra degli Interni, corroborato da una battuta al vetriolo: «Puoi avere un genio come premier, ma se la macchina non funziona…». Dall’altro una richiesta esplicita, che il leghista ripeterà di persona a Draghi poco dopo: «Devi adoperarti per una pacificazione nazionale. La campagna di delegittimazione contro il centrodestra, in particolare contro Lega e FdI deve finire». Meloni ci aveva messo del suo alla Camera, dopo l’informativa di Lamorgese, puntando il dito contro «la strategia della tensione»: la fantasiosa trama secondo cui si sarebbe permesso l’assalto alla Cgil per danneggiare l’immagine della destra.

I leader della destra devono per forza rompere l’isolamento, sfuggire all’accusa di connivenza con i neofascisti che è stato e resterà il vero pezzo forte della campagna elettorale per i ballottaggi. Ma il problema esiste davvero. Non è pensabile che una maggioranza resista a un clima da guerra civile strisciante. Certo, molto si spiega con i ballottaggi e lì è questione di pochi giorni. Però, subito dopo, le forze politiche inizieranno a lanciarsi nella campagna, forse lunghissima, delle politiche. Il problema dunque c’è ma Draghi non può fare molto per risolverlo, avendo deciso sin dall’inizio della sua avventura a palazzo Chigi di occuparsi il meno possibile delle beghe tra le forze che lo sostengono.

La sola cosa che il governo può fare per evitare che la tensione continui a impennarsi è soprassedere sulla richiesta di sciogliere Forza Nuova, che conta zero ma ha acquistato un peso simbolico spropositato, comunque vada il voto sulle mozioni in merito la settimana prossima. Il Viminale, in mancanza di una sentenza almeno di primo grado, non può procedere a uno scioglimento per decreto ministeriale, come per le tre organizzazioni neofasciste sciolte in precedenza. Il premier potrebbe prendere un’iniziativa politica di suo, ma ci vorrebbe il consenso di tutta la maggioranza e non è facile che l’ipotesi si realizzi.

In realtà la pacificazione che preoccupa di più palazzo Chigi è quella tra la grande maggioranza del Paese favorevole al Green Pass e la minoranza non insignificante che lo combatte strenuamente. A un giorno dall’ora X, dall’entrata in vigore dell’obbligo nei posti di lavoro, l’ombra più spessa è quella. La mediazione proposta da Salvini è di portare a 72 ore la validità dei tamponi rapidi e di renderli tutti gratuiti, come chiede anche Grillo. La prima richiesta incontra la ferma opposizione del ministero della Salute. Contrasterebbe con le risultanze scientifiche che limitano a 48 ore la certezza offerta da quei test e in realtà dicono che anche le 48 ore sono tirate per i capelli. Capitolo chiuso. Infondata sembra anche la voce, ieri in circolazione, dell’imminente convalida italiana dei vaccini russo e cinese per risolvere lo spinoso problema dei camionisti provenienti dall’est.

Resta la strada dei tamponi gratis o a prezzo molto calmierato. Sarebbe però una sconfitta politica e per ora Draghi non vuole arretrare. Il governo vede di buon occhio, e probabilmente si adopera come può in termini di moral suasion, perché siano le aziende a farsi carico dei costi dei test. Ma è un richiamo che può funzionare solo per le grandi aziende. Per ora Draghi aspetta di verificare quale sarà la situazione reale, a partire da domani.

Sul tavolo Salvini ha messo anche altri due temi potenzialmente deflagranti: la Flat tax, la cui soglia vorrebbe portare da 65mila a 100mila euro, e Quota 100. La prima è una proposta quasi di bandiera. Il capitolo pensioni, se non sciolto subito, potrebbe diventare il prossimo minaccioso scoglio.