Oddio Salvini! Inutile nasconderselo: il vero protagonista di queste consultazioni è lui. Convitato di pietra, spettro molesto, presenza incombente. Se non ci fosse lui i giochi sarebbero fatti, con qualche rimpianto e molto malcelato risentimento ma chiusi: governo tecnico-politico, maggioranza Ursula. Ma Matteo Salvini c’è. O meglio minaccia seriamente di esserci. Invia segnali che vanno tutti sparati in quella direzione anche se le carte del Carroccio verranno davvero scoperte solo stamattina alle 11, quando la delegazione guidata dallo stesso leader incontrerà Draghi.

SINO A QUEL MOMENTO ai piani alti del Pd, di LeU e a maggior ragione del M5S resteranno con le dita incrociate sperando nel miracolo, invocando un fatale ostacolo. Non è facile che si realizzi. La marcia d’avvicinamento a Draghi della Lega procede spedita. Salvini corregge l’errore del giorno precedente e cancella ogni veto: «Chi sono io per dire: tu no?».

Poi fa piazza pulita di ogni mezza misura: «Non vedo ipotesi strampalate come l’appoggio esterno. Se ci siamo, ci siamo e parteciperemo da primo partito italiano». Con tanto di ministri, dunque. Anche le condizioni che Salvini fa balenare, i «punti di programma» irrinunciabili, sembrano studiate per rendere impossibile ai partiti della maggioranza opporsi all’ingresso in nome della sostanza, delle richieste inaccettabili: «Diremo no all’aumento delle tasse, alla patrimoniale, all’azzeramento di quota 100».

L’INTERO STATO MAGGIORE spalleggia il capo, anzi lo spinge come può, e apre a propria volta il fuoco. «Se si volesse far nascere un governo senza il primo partito italiano sarebbe evidentemente un tavolo zoppo», commenta Giancarlo Giorgetti, forse il leghista che più di ogni altro si sta spendendo per convincere Salvini a rompere ogni indugio. Luca Zaia, altro sostenitore strenuo dell’ingresso in maggioranza, si era già detto convinto che il presidente incaricato, «persona intelligente», non avrebbe ceduto ai veti contro la Lega: tanto più che si tratta del partito che governa le regioni più produttive del Paese. Ma il vero segnale della svolta è l’apertura dell’antieuro numero uno Alberto Bagnai, che ora definisce l’ex presidente della Bce «un pragmatico con cui si può dialogare».

NULLA È ANCORA CERTO ma tutto, dunque, lascia pensare che quello di Salvini, oggi, sarà un segnale di massima apertura e disponibilità. Le forze della maggioranza hanno cercato ieri di bloccarlo. LeU, dopo la consultazione con Draghi dei capigruppo Loredana De Petris e Federico Fornaro, ha segnalato che proprio la differenza radicale nei programmi rende «impossibile la convivenza» con la Lega. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha cercato di porre un ostacolo materiale, la richiesta di una riforma fiscale progressiva, aggiungendo che a quel punto dovrebbero esserci solo ministri tecnici.

A porte chiuse entrambe le delegazioni hanno insomma fatto capire a Draghi, al di là di ogni possibile equivoco, che la presenza della Lega «nel perimetro» costituirebbe un grosso problema. Non hanno sfondato. A entrambe Draghi ha risposto, nemmeno troppo tra le righe, che la sintesi spetta a lui e che il mandato del capo dello Stato è dar vita a un governo svincolato da «formule politiche». A Salvini, oggi, dirà che il suo approccio alla Ue è «pragmatico e non ideologico», adoperando non a caso una parola che al leghista piace molto.

Se la Lega risponderà all’appello di Mattarella, Super Mario non chiuderà le porte e starà ai partiti della ex maggioranza decidere cosa fare. Il Pd accetterà. LeU assicura che non sarà così ma la componente di Art. Uno, a differenza di quella di Sinistra italiana, appare più tentata. Per i 5S sarà lo psicodramma finale ma Grillo, al telefono con Draghi, avrebbe assicurato nei giorni scorsi l’adesione del Movimento. Senatori ribelli permettendo.

IERI MARIO DRAGHI si è intrattenuto al telefono con un altro leader, Silvio Berlusconi, che ha rinunciato all’ultimo momento a capitanare la delegazione azzurra. Questioni di salute, ufficialmente, ma più probabilmente i consigli dei suoi avvocati: non è il caso di essere malati quando ci sono le udienze da rinviare e risanati quando si tratta di occasioni ufficiali. Il Cavaliere ha voluto comunque comunicare di persona, anticipando la sua delegazione, la disponibilità azzurra.

NESSUNA TENTAZIONE invece per FdI, anche se Giorgia Meloni garantisce di essere «pronta a dare una mano sui singoli provvedimenti». Ma la possibilità di un’astensione che basterebbe a evitare rotture con gli alleati resta. Tra i Fratelli c’è chi, come La Russa, insiste e la leader pensa ora a un nuovo vertice della destra prima di tirare le somme.