Se ci dicono di no, l’Italia non ha tempo da perdere. E la Lega nemmeno», di fronte a una selva di telecamere, a palazzo Madama, Matteo Salvini sfodera il pugno di ferro. Di tempo, evidentemente, non ne vuole perdere nemmeno lui. Alle 13 arriva la notizia della condanna del viceministro leghista Edoardo Rixi: 3 anni e 5 mesi, con in più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nemmeno mezz’ora dopo il viceministro rassegna le dimissioni nelle mani non del presidente del consiglio Giuseppe Conte ma di Salvini, e il particolare è significativo. Accettate a strettissimo giro, «per tutelare il governo». Non è una resa ma il sacrificio di una pedina necessario per scatenare l’offensiva. Poco dopo infatti il ministro dell’Interno convoca a sorpresa la stampa e squaderna una sfilza di imposizioni impressionante. Un dikat.

REDUCE DALL’INCONTRO con Giovanni Tria, nel cui studio si è presentato con tutte le teste d’uovo economiche del Carroccio, i presidenti di commissione Bagnai e Borghi, il sottosegretario Garavaglia, Salvini esordisce raccontando di aver detto chiaro al ministro dell’Economia che nella manovra ci dovrà essere la Flat tax. «E le coperture?», chiede qualcuno. «Ci sono», taglia corto il vicepremier leghista. Ma non si ferma qui. «I risultati della pace fiscale sono stati ottimi. Dunque la prorogheremo». Era stato, mesi fa, uno dei principali motivi d’attrito con i soci. Ora Salvini non si preoccupa più del loro parere. Non si è neppure peritato di avvertirli.

Come non ha avvertito né gli alleati né Conte della vera sorpresa. Un nuovo emendamento allo Sblocca cantieri, più precisamente un «testo 2» che sostituisce quello di un emendamento già presentato, che di fatto riscrive completamente il decreto. C’è la sospensione secca del codice degli appalti per due anni. C’è l’allentamento radicale dei vincoli sui termovalorizzatori: «I rifiuti sono una ricchezza in tutto il mondo. Solo da noi sono un costo. E’ ora che creino valore». C’è la cancellazione di tutte le mediazioni trovate in commissione. L’emendamento è infatti uno dei primi: una volta approvato, porterà alla decadenza di tutto il resto. Certo, c’è sempre tempo per subemendarlo. Fino alle 12 di questa mattina.

E’ UNO SCHIAFFO violentissimo nel merito e forse anche più nel metodo. Salvini ha riscritto uno dei decreti più delicati e più a lungo contrattati con i soci senza consultarli né avvertirli. Non ha nemmeno ritenuto opportuno fare uno squillo a Conte, e non potrebbe esserci risposta più chiara a quanto lo stesso Conte gli aveva detto il giorno prima: «Il premier sono io». Non è più così. Salvini è disposto a lasciarglielo dire. Non a farglielo fare.

Tutto qui? Macché. C’é la Tav, per esempio. Voci da Bruxelles, anticipa il leghista, dicono che la Ue sarebbe pronta ad aumentare il suo contributo fino al 55% della spesa. Il calcolo costi-benefici sarebbe in questo caso certamente vantaggioso. E comunque «col voto alle europee l’80 per cento della Val Susa ha detto di volere la Tav». Capitolo chiuso. Il tunnel base si farà.

Segue la richiesta di mettere alla porta i ministri sgraditi, quello dell’Ambiente, Costa, e quella della Difesa, Trenta. Una frecciata a Virginia Raggi, perché il leghista non vede l’ora di conquistare la ex «Roma ladrona», e la lista delle imposizione è fatta. Somiglia da vicino a una richiesta di resa incondizionata. Ai 5 Stelle, espletato il rituale della consultazione su Rousseau, la scelta tra subirla o andare alle elezioni. Ma Salvini, che ha ideato personalmente la mossa di ieri, è convinto che pur di evitare le urne i 5S cederanno. Tanto più che formalmente tutto quel che propone figura in un modo o nell’altro nel contratto.

SALVINI HA SCELTO PROPRIO la giornata della consultazione su Di Maio per dimostrare nei fatti che chi comanda è lui. E aveva cominciato a farlo già nell’incontro con Tria. Non solo chiarendo che nella manovra ci deve essere la Flat tax, ma anche mettendo il veto a qualsiasi fantasia di manovra correttiva, che infatti Tria poco dopo escluderà pubblicamente, e persino dettando i toni con cui va scritta la risposta alla lettera di Bruxelles. Non sulla difensiva ma all’attacco, ottimista, con la rivendicazione dei successi ottenuti. La fase 2 del governo è questa. Per Conte e Di Maio la scelta è secca: prendere o lasciare . E quindi votare.