«Io mantengo gli impegni e l’impegno preso riguarda una coalizione di centrodestra con cui abbiamo il diritto e il dovere di governare. Ho detto in campagna elettorale che avrei parlato con tutti ma la squadra con cui lavorare è quella»: già di mattina Matteo Salvini sgombra il campo dalla ridda di voci moltiplicatesi nella notte su eventuali accordi di governo tra Carroccio e M5S. «Analisi bizzarre», e non se ne parli più. Il nuovo leader della destra italiana non si accontenta di bocciare una formula che per la verità esisteva solo nella fantasia sbrigliata dei giornalisti politici. Falcidia ogni ipotesi diversa da quella del suo governo con la coalizione già esistente: «Escludo governi tecnici, di scopo, a tempo, istituzionali. Non partecipiamo a governi minestrone».

POCO DOPO la conferenza stampa il leghista vola ad Arcore, per incontrare un Berlusconi tramortito dall’inatteso sorpasso e preoccupatissimo per il tonfo Mediaset in Borsa. Il colpo è stato duro. «E’ un po’ amareggiato per l’inversione di pesi tra Lega e Fi», ammette Brunetta e si tratta ovviamente di una dichiarazione in understatement puro. Da ieri, come protagonista politico in prima persona, il mattatore della scena pubblica italiana degli ultimi 25 anni è definitivamente fuori gioco, spiegano altri dirigenti azzurri. Non significa che non continuerà a seguire in veste di regista le sorti del partito che è suo non solo per modo di dire. Non significa neppure che il capo azzurro intenda mettersi di mezzo e creare difficoltà al vincitore. «Il centrodestra è il vincitore politico di queste elezioni. L’apporto di Fi è stato determinante nonostante il grande svantaggio causato dall’incandidabilità di Berlusconi. Con questo risultato le forze del centrodestra potranno rafforzare la coalizione che dovrà ottenere il mandato di governare l’Italia», recita la nota azzurra diramata dopo l’incontro «breve e cordiale» con Salvini.

RISULTATI DEL GENERE, del resto, sono tali da ammutolire ogni dissenso latente. Un balzo dal 4 al 14% in cinque anni è un dato persino più incisivo del superamento di quota 30% da parte dell’M5S: non permette fronde. Maroni, l’arcinemico, si complimenta e si augura che la coalizione abbia i numeri per governare. Giorgia Meloni, nonostante tra lei e il leghista non ci sia troppa simpatia, fa sapere di avergli telefonato per fare i complimenti e rivendica per lui l’incarico: «Non avrebbe senso che Mattarella lo affidasse a Di Maio quando i tre partiti della coalizione indicano invece Salvini». Lo stesso capo azzurro lo esorta ad andare avanti e verificare la possibilità di dar vita a una maggioranza.

IL PROBLEMA È TUTTO LÌ. I numeri non ci sono. Mancano una quarantina di deputati: parecchi ma forse non tanti da rendere proibitivo il tentativo di allagare la coalizione o di procedere con una campagna acquisti. I 14 grillini espulsi prima ancora di essere eletti, se non saranno «perdonati», potrebbero colmare in parte il divario. Ma non basteranno. Dunque bisognerà guardare alle file degli eletti con il centrosinistra, anche se il mancato raggiungimento del 3% da parte della lista +Europa di Emma Bonino è un colpo duro per i progetti di Arcore. Per trovare quei voti, inoltre, potrebbe essere necessario un passo indietro del vincitore, una generosa rinuncia da parte di Matteo Salvini. E’ infatti del tutto fuori discussione l’idea che i papabili o presunti tali votino a sostegno di Matteo l’antieuropeista, che ancora ieri ha rivendicato fieramente il suo essere «populista» e ha ribadito che l’euro è un errore destinato a finire non per volontà di qualcuno ma per i suoi limiti intrinseci.

SE LE SPERANZE di Berlusconi si concretizzeranno e l’allargamento della coalizione si profilerà come possibile, accetterà Matteo Salvini di sacrificarsi? Probabilmente no. Un passo indietro ora, tanto più a favore di un premier europeista, vanificherebbe buona parte del successo ottenuto. L’insistenza con la quale ieri Salvini ha ribadito la sua fedeltà agli impegni presi è probabilmente anche un modo per far sapere ad Arcore che si aspetta la stessa lealtà. E se ciò vorrà dire tornare presto alle urne, per chi sente di aver il vento dalla propria non è un problema.