«Spero che nel Pd siano a disposizione per dare una via d’uscita al Paese, a prescindere da chi uscirà dalle primarie. Tutti dicono che al centro c’è il lavoro e su questo abbiamo nel programma proposte realizzabili»: è un Salvini istituzionale, in giacca e cravatta, senza felpe di sorta, quello che a Milano, dopo l’incontro con i parlamentari del Carroccio, si concede ai giornalisti in una vera conferenza stampa. Caso più unico che raro tra i leader politici dal 4 marzo in poi.

Il leghista non è un ingenuo. Sa benissimo che dal Pd risponderanno picche, come infatti avviene a stretto giro con un Rosato anche più goffo del solito: «I primi a essere chiamati alla responsabilità sono quelli che hanno avuto il mandato dagli elettori. La Lega non si nasconda dietro pretesti e costruisca le condizioni per governare con chi ha i suoi stessi programmi». Il senso è chiaro: «Mattarella o non Mattarella un governo guidato da Salvini non possiamo farlo passare».

LA REPLICA DEL PD era scontata in partenza ma l’obiettivo del leghista è un altro: bloccare la manovra di Berlusconi e Renzi (che considera le dimissioni un passaggio ininfluente) per dar vita a un governo di minoranza di centrodestra grazie all’astensione e all’uscita dall’aula dei parlamentari Pd, sostituendo però l’indigeribile Salvini come premier. Yoda, pseudonimo dietro il quale si nasconde uno dei più informati giornalisti politici italiani, riportava ieri un commento di Renzi nel quale il segretario uscente fa tre nomi: Tajani, il preferito ad Arcore, ma anche due leghisti, Maroni e Zaia.

La vittima designata è ben consapevole della manovra a tenaglia. Dunque sfrutta la conferenza stampa per dispiegare in anticipo le contromosse. Non solo lancia l’offerta rivolta al Pd, ma chiude le porte a eventuali governi tecnici, «o c’è un governo politico o la parola torna agli italiani», e mette i puntini sulle i per quanto riguarda la candidatura: «Non ho ambizioni personali ma rispetto gli elettori che hanno dato la maggioranza al centro destra e, al suo interno, alla Lega con su scritto Salvini premier. Se poi arrivasse un genio che condivide il nostro programma viva il genio».
Gli obiettivi di Salvini sono tre. Prima di tutto impedire a Berlusconi di entrare in campo dopo il suo fallimento intavolando lui una trattativa con il Pd. Poi porre la faccenda in modo tale che un eventuale semaforo verde del Nazareno a un altro esponente del centrodestra suoni come tradimento non del candidato Salvini ma del «programma». Infine impedire che l’eventuale maggioranza politica Pd-destra senza di lui esca dalla porta solo per rientrare dalla finestra in veste di governo tecnico.

BERLUSCONI, IN QUESTO momento, sa di non poter cambiare cavallo senza che la Lega sia d’accordo. Non s’illude di costringere Salvini: spera di convincerlo con lo spauracchio di elezioni anticipate nelle quali M5S avrebbe ottime probabilità di uscire vincente, pescando «voti utili»nel bacino dell’elettorato del Pd. E’ un argomento forte, tutt’altro che irrealistico. Ma che raggiunga l’obiettivo è improbabile. Pur con tutta la prudenza del caso, Salvini ha già messo nel conto il confronto diretto con M5S. Non solo si dice favorevole a una legge elettorale maggioritaria con premio al più votato, quanto di più temibile per il Pd in questa fase, ma prende di mira proprio il cavallo di battaglia dei pentastellati, il reddito di cittadinanza: «Sicuramente non proporremo il reddito per chi sta a casa. La nostra idea non è l’assistenza ma la crescita». Allo stesso tempo affila la spada in vista di un confronto con la Ue al quale il Di Maio in cerca di legittimazione ha in larga parte rinunciato: «Leggo che Bruxelles vuole nuove tasse. Bene, noi proporremo una manovra alternativa fondata sul contrario: meno tasse».

Ma il duello tra Lega e 5S sarà probabilmente storia di domani. Per ora quello che si prepara nella battaglia per la costituzione di un nuovo governo è un doppio regolamento di conti: quello nel Pd, dove proprio le alleanze saranno la linea del fronte, ma anche quello per assegnare lo scettro nella destra.