«Aspetto e rispetto le sentenze, non c’è alcun golpe giudiziario». Ma non è una correzione di rotta, men che meno una smentita. Il giorno dopo lo spettacolo incendiario (questa volta contro i magistrati, come sempre su facebook) arriva puntuale il Salvini «moderato», che spiega, giustifica. Soprattutto si giustifica, presentando un’altra versione di sé, quella che consente al Movimento 5 Stelle di dire che va tutto bene, e andare avanti. L’importante per il ministro dell’interno – presentato proprio ieri dal New York Times come il più importante alleato in Europa dell’idolo del Ku Klux Klan Steve Bannon – è aver fatto arrivare a tutti il suo messaggio di insubordinazione alla legge. La sua propaganda.

Questa volta la «fase due» è tanto rapida da precedere la rivendicazione dell’alleato grillino. Appena arrivato a Cernobbio, sede confindustriale che fino a due anni fa diceva di aborrire, Salvini informa i giornalisti che, al contrario di quello che aveva detto venerdì, «io non sono al di sopra della legge, le inchieste giudiziarie non mi tolgono il sonno, se dovesse venir fuori che sono un sequestratore ne trarrò le conseguenze». Quando già è alta in cielo la notizia del Salvini-bis, arriva Di Maio a prendersene il merito: «Se non siamo d’accordo glielo dico, e ieri gli ho detto che non deve attaccare i magistrati perché sono gli stessi che arrestano i corrotti, i mafiosi e gli scafisti. I magistrati si rispettano anche quando ci indagano».

Il presidente del Consiglio Conte si era già adeguato al Salvini incendiario, tanto da dire che se non fosse stato premier lo avrebbe volentieri difeso da avvocato nella vicenda del sequestro dei fondi alla Lega, e così può spiegare che «conoscendolo avevo capito che le parole un po’ forti erano frutto dello scoramento, ora ha chiarito il suo pensiero e ci mancherebbe che questo governo non rispetti la separazione dei poteri, è una cosa che risale a Montesquieu». Al ministro dell’interno era di certo arrivata notizia dell’irritazione del presidente della Repubblica, capo anche del Consiglio superiore della magistratura, espressa venerdì attraverso il comunicato del suo vice al Csm Legnini. E ieri Legnini ha messo il sigillo sulla polemica: «Se Salvini avesse pronunciato queste nuove parole, non ci sarebbe stata la reazione».


Ma il Salvini moderato non si limita al fronte giustizia. Davanti al mondo della finanza e dell’impresa di Cernobbio fa il pompiere anche sul versante economico. Del resto è stata questa la linea gialloverde per tutta la settimana appena trascorsa, e il ministro dell’interno non lo nasconde: Ho imparato a guardare lo spread appena mi sveglio», esordisce. Raccogliendo gli applausi della platea di villa d’Este. «Sono qui per rassicurare – va al sodo – faremo una manovra rispettosa dei vincoli europei e che non sfascerà i conti pubblici». Che Confindustria abbia scelto di puntare tutto sulla Lega come parte «responsabile» del governo del resto era chiaro almeno dalla recente intervista al Sole 24 Ore in cui Salvini si è costretto nei panni di un europeista quasi rigoroso. Nessuna meraviglia che a Cernobbio non interessi tanto il leghista scatenato contro i diritti umani, e persino che non faccia scandalo la parodia autarchica che lo spinge a twittare contro Starbucks. Né può rappresentare un ostacolo l’amicizia di Salvini con Bannon, del resto tra gli invitati di Cernobbio c’è l’olandese Wilders del partito per la libertà, alleato di Lega e Front National in un fronte sovranista e populista europeo. Almeno fino alla prossima legge di bilancio Confindustria non farà mancare il suo sostegno al ministro Salvini.

E nemmeno al presidente del Consiglio, il cui intervento a Cernobbio ha concluso il quadretto delle rassicurazioni. «Non siamo una banda di scriteriati», ha detto Conte come per allontanare i sospetti. Aggiungendo poi che «alcune misure della manovra saranno dosate sui cinque anni di governo». Niente paura nemmeno sulla vicenda Autostrade, l’inversione a U del governo è completa: «Non siamo per le nazionalizzazioni ma per l’efficienza delle risorse pubbliche». Molta prudenza persino sulla revoca della concessione alla società dei Benetton, che lungi dall’essere cosa fatta «valuteremo serenamente. Esamineremo le repliche e poi decideremo, con tutte le garanzie di legge, se ci sono gli estremi».