«Da quando amministriamo Napoli abbiamo sempre interpretato le leggi ordinarie in maniera costituzionalmente orientata. Continueremo a concedere la residenza». Il sindaco Luigi De Magistris, già vicino a Mimmo Lucano, il sindaco di Riace – il primo dei sindaci disobbedienti – si schiera con il collega Orlando che ha deciso di sospendere l’applicazione del decreto sicurezza per le parti sul diritto degli stranieri alla residenza anagrafica. Non è l’unico. In molti, da Reggio Calabria a Firenze e Parma, si dichiarano indisponibili ad applicare provvedimenti a rischio di incostituzionalità.

 

IL MINISTRO SALVINI in mattinata è sfottente: «Con tutti i problemi che ci sono a Palermo, il sindaco sinistro pensa a fare ’disobbedienza’ sugli immigrati». Poi, in serata, quando l’ondata degli amministratori è diventata marea, attacca Orlando da facebook: «Vuoi disubbidire? Disubbidisci, non ti mando l’esercito, la polizia e i carabinieri». Ma avverte tutti i disobbedienti: «È gravissimo, evidentemente alcuni hanno mangiato pesante a Capodanno. I sindaci ne risponderanno personalmente, penalmente e civilmente, perché è una legge dello Stato che mette ordine e regole».

E NON È DA ESCLUDERE che un giudizio sulla legge arrivi davvero, pur dopo la promulgazione del Quirinale (che Salvini sbandiera come prova definitiva della costituzionalità del testo). Per il presidente emerito della Consulta Cesare Mirabilli la scelta di Orlando «è un atto politico. I Comuni sono tenuti a uniformarsi alle leggi», ma conclude: «Se sorge un contenzioso potrebbe essere sollevata una questione di legittimità costituzionale». E infatti, spiega il deputato Stefano Ceccanti (Pd): «Un qualsiasi operatore del diritto chiamato ad applicare una norma legale ma che reputi in coscienza illegittima dal punto di vista costituzionale ha il diritto-dovere di rifiutarsi di applicarla. Andrà incontro a denunce, ma di fronte al giudice chiederà il rinvio alla norma alla Corte».

SALVINI INTANTO ha già organizzato una gita a Palermo: «Sono curioso di capire se rinunceranno anche ai poteri straordinari che tanti sindaci hanno apprezzato», dice a Radio 1.

SCHERZA CON IL FUOCO, spiegano i sindaci, con una legge «criminogena e disumana». Giuseppe Falcomatà, Reggio Calabria: «Nella nostra città mai applicheremo norme che vanno contro i principi costituzionali e di accoglienza». Antonio De Caro, sindaco di Bari e presidente dell’associazione dei comuni, chiede un tavolo con il Viminale: «L’avevamo detto prima che il decreto fosse convertito in legge. I diritti umani non sono negoziabili». Dario Nardella, di Firenze, è uno a cui in genere piace il pugno di ferro (indimenticabili le sue ordinanze antipanini, o le scale dei sagrati innaffiate per sfollare i turisti). Su questo però la pensa come Orlando: «Non possiamo assistere a questo scempio umanitario». Ai sindaci Pd si unisce l’ex M5S Federico Pizzarotti, che pure non è convinto dello strumento: «Dal punto di vista politico non posso che condividere la volontà di affrontare un problema che il decreto sicurezza crea, ossia non poter dare riconoscimenti anagrafici a persone richiedenti asilo e straniere. Il modo in cui il problema si affronta è da capire». La Sicilia è in maggioranza con Palermo. Il nuovo segretario Pd Faraone invita gli amministratori dem ad applicare «il modello Orlando» e lo storico ’nemico’ Micciché, presidente dell’assemblea regionale, propone «una giornata di dibattito».

 

IN REALTÀ IL DISSENSO dei comuni sul decreto non nasce ieri. Da mesi i consigli comunali Torino, Bologna e Firenze hanno approvato mozioni per la sospensione degli effetti del decreto, soprattutto per il depotenziamento degli Sprar (l’efficace sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, coordinato dal Viminale e gestito dagli enti locali). La regione Lazio di Zingaretti a dicembre ha stanziato 600mila euro per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti vulnerabili, azzerata dal decreto.

PARERE NEGATIVO al decreto era arrivato anche dalla giunta capitolina. E da amministratori di destra come la sindaca di Savona Caprioglio, quello di Alessandria Cuttica e l’assessora genovese Fassio. A novembre in 60 amministratori pugliesi avevano firmato un documento bipartisan contro il decreto. Da destra, a difesa, ieri si sono segnalati in pochi: a parte il forzista moderato Guido Castelli, sindaco di Ascoli Piceno, per il resto solo ultras: la sindaca di Monfalcone Anna Cisint, quella che ha vietato i quotidiani Avvenire e manifesto nella biblioteca comunale; e il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, quello che ha ordinato di rimuovere dal municipio lo striscione «Verità per Giulio Regeni».