Aspettare, temporeggiare, rinviare. Da destra a sinistra altra strategia in mente i partiti che si accingono a eleggere il capo dello Stato non ce l’hanno. Il problema si chiama Silvio Berlusconi: finché c’è di mezzo lui non si possono neppure avviare le classiche manovre che da sempre precedono l’appuntamento con la scelta del presidente della repubblica. Stando alle voci che impazzano in ogni angolo del parlamento il presidente azzurro non lo vuole nessuno, ma nessuno ha il coraggio di dirglielo. Matteo Salvini esce allo scoperto: «Sta a Berlusconi sciogliere la riserva e penso che nessuno a sinistra possa mettere veti su di lui». I toni però non sono quelli di chi pensa che la candidatura più lacerante sia senza alternative: «Nel centrodestra ci sono uomini e donne all’altezza», dice infatti il leader della Lega e esorta tutti a «sedersi intorno a un tavolo per una scelta di alto profilo». Preferirebbe però di gran lunga che quel profilo non si adattasse alle fattezze di Mario Draghi: «Molti italiani, e io tra questi, avrebbero piacere che continuasse a svolgere il suo ruolo», spiega.

PER QUANTO STRETTO è uno spiraglio, tanto più che Salvini sembra evocare un rimpasto con l’ingresso di tutti i leader nel governo, formula che potrebbe consentire la nascita di un governo politico, con premier politico e non tecnico, nel caso di elezione di Draghi al Quirinale. Enrico Letta in tv da Floris si dice disponibilissimo a ogni tavolo purché il centrodestra rinunci a Berlusconi: «E’ inaccettabile che una coalizione proponga un suo capo partito». Così la giostra riparte dal punto di partenza

IL PD HA RIUNITO ieri la segreteria e rinviato a sabato prossimo l’assembleona congiunta della Direzione e dei gruppi parlamentari. Dalla quale non uscirà alcuna proposta se non la richiesta al centrodestra di presentare una rosa di nome ma senza Silvio Berlusconi, o almeno con altri petali. Dunque anche qui, fino a che non si sarà sciolto il nodo Silvio niente da fare. La sola ideuzza nuova è quella di non entrare in aula alla quarta votazione, un po’ nella speranza che sia la destra stessa a fucilare l’ex capo, un po’ per evitare che dalle truppe pentastellate allo sbando o dalla masnada dei gruppi Misti piovano voti proprio sul reprobo. Idea astuta solo in apparenza. Costretto a uscire quasi allo scoperto il bacino dei franchi tiratori in pectore, a destra, si prosciugherebbe d’incanto.

I centristi provenienti da destra, quelli di Coraggio Italia, e da sinistra, i renziani, si incontreranno oggi con l’obiettivo di dar vita a una Federazione in grado di reggere almeno sino a elezione consumata. Tra le truppe di Giovanni Toti, 31 voti, sarebbero una quindicina quelli decisi ad affossare il capo azzurro. Ma guai a chiedergli di uscire allo scoperto, di schierarsi apertamente o di dare al candidatissimo la ferale notizia: «Sta a Matteo Salvini e Giorgia Meloni dirglielo». Stasera si vedranno anche Giuseppe Conte e i gruppi parlamentari congiunti del Movimento 5 Stelle. Le scintille sono assicurate, le chances che dall’assemblea esca una strategia in grado di rimettere in gioco il gruppo parlamentare più numeroso e più devastato rasentano lo zero.

IN QUESTA SAGRA collettiva del falso movimento, l’unico appiglio al quale si aggrappano tutti è l’attesa. E’ concreta l’eventualità di un’astensione generalizzata nelle prime tre votazioni, nelle quali la fumata bianca, salvo improbabile accordo di tutti nei prossimi dieci giorni, sarà impossibile. Alla quarta votazione, salvo ripensamenti, Berlusconi tenterà la sorte e la vera partita inizierà solo dopo quel giro, con in campo i nomi ormai noti, quelli di Giuliano Amato e di Pier Ferdinando Casini, quello della presidente del Senato Elisabetta Casellati, soprattutto quello dell’attuale premier Mario Draghi, passato da nome papabile per evitare il caos a candidato prodotto proprio dal caos.

Sempre che in quella quarta votazione, o in quelle immediatamente successive, il prestigiatore di Arcore non smentisca i pronostici confermando nei fatti quel che va ripetendo da settimane: «I voti arriveranno». Sarebbe la vittoria, anzi il trionfo del caos.