«È una vergogna: sono ladri di democrazia»: la reazione di Matteo Salvini alla sentenza della Consulta che dichiara inammissibile il suo referendum era già scritta parola per parola. «La legge elettorale non devono sceglierla gli italiani ma il Pd e il M5S, chiusi nei palazzi», rincara.

È solo l’inizio. Un po’ la Lega nel risultato a sorpresa ci sperava, però non più che tanto. Aveva sempre messo nel conto un pollice verso della Corte che avrebbe comunque consentito di sparare a zero su una coalizione impegnata soprattutto a difendersi dalle elezioni e dal «giudizio del popolo», sostenuta da poteri alti e distanti. Dunque non perderà l’occasione. Giocherà la carta che molti temono in realtà essere vincente in tutto il futuro ciclo di elezioni regionali, a partire da quelle cruciali del 26 gennaio, ma medita anche di rinfocolare la polemica contro «il Palazzo» aggiungendo altra legna referendaria al fuoco. «D’ora in poi proporremo referendum su tutto. Con le Regioni possiamo farlo», profetizza un dirigente leghista.

Forse la raffica di quesiti arriverà davvero, più probabilmente no. Ma la campagna, contundente e certo non destinata a svanire in un lampo, è già squadernata. E a impugnarla non sarà solo il leader: «Hanno spianato la strada al sistema dell’inciucio», mitraglia il capogruppo alla camera Molinari ben sapendo a sua volta di toccare un tasto sensibile.

È una delle ombre che offusca la soddisfazione, comunque reale e profonda, che si respirava ieri nei ranghi della maggioranza. Non l’unica, almeno per quanto riguarda il Pd, che per il proporzionale, la cui strada è ora del tutto spianata e in discesa, non ha mai palpitato e che vede ora allontanarsi anche la consolazione di una soglia di sbarramento alta, al 5%. Per i 5 Stelle la gioia è invece completa. Di Maio esulta e cerca un sentiero, pur se stretto, per rovesciare contro la Lega l’accusa di difendere solo il proprio posto di lavoro, o seggio parlamentare che dir si voglia: «Alla Lega importa solo accaparrarsi più poltrone possibili. Il M5S non pensa a leggi per la propria convenienza. Ci importa che i cittadini si sentano davvero rappresentati e per questo la strada da seguire è quella del proporzionale». E il ministro D’Incà conferma. Di certo il proporzionale con soglia alta è il sistema migliore possibile per i 5S, e in particolare proprio per gli «autonomisti» come Di Maio, che avranno la possibilità di giocare in libertà senza doversi alleare con il Pd prima del voto.

L’intero centrodestra promette di dare battaglia contro il proporzionale in aula. Molinari chiede di mettere in campo, come proposto da Giorgetti, il Mattarellum che forse, se potesse fare come vuole, sarebbe il sistema preferito anche dal Pd. Giorgia Meloni chiama alle armi tutto il centrodestra contro il proporzionale. Forza Italia concorda. Ma è una guerra persa in partenza e la stessa destra se ne rende perfettamente conto. La sentenza di ieri sgombra definitivamente la strada da ogni tentazione maggioritaria, quelle conclamate della destra e quelle serpeggianti nel centrosinistra e in particolare nel Pd. L’unico che prende la parola contro il proporzionale alle porte è l’outsider Carlo Calenda, che peraltro ha ben poco da perdere. Per il suo ex partito le cose stanno però in maniera opposta.

Con la sentenza della Corte, nonostante i giudici costituzionali si siano sforzati di affossare la legge senza chiamare in causa i contenuti ma con motivazioni in un certo senso «laterali» come la natura «manipolativa» del quesito, diventa impossibile per il Pd imboccare una strada diversa da quella della legge già depositata in Parlamento senza una rottura totale con i 5 Stelle, cioè senza abbandonare l’obiettivo di un’alleanza stabile. Al quale, al contrario, Zingaretti ha già deciso di sacrificare tutto.

Ma senza la sferza del maggioritario per il Pd sarà altrettanto impossibile frenare la spinta di quelle componenti della maggioranza, LeU esplicitamente, Iv senza confessarlo, che mirano ad abbassare la soglia al 3% e che, una volta venuto meno l’incubo di un maggioritario puro, hanno i numeri per affossare la soglia del 5% al Senato e forse, al coperto del voto segreto, anche alla Camera. L’ombra che turbava di molto la letizia del Nazareno, ieri, era proprio questa.