La voglia di «fare la storia», di «una nottata memorabile» c’è tutta. A suonare la carica arriva perfino Red Ronnie, vip un po’ arrugginito con un passato da socialista nella bassa emiliana. La musica però cambia in fretta e le facce si allungano. La Lega fino a sabato ha assaporato la vittoria con i sondaggi tutti univoci a certificare il sorpasso di Lucia Borgonzoni su Stefano Bonaccini.

Al quartier generale del Zan Hotel di Bentivoglio in mezzo alla nebbia del Centergross, centro logistico a nord di Bologna, vanto della Regione guidata dal Pci negli anni Ottanta, tutto è tirato a lucido. Se ai primi exit poll delle undici le reazioni sono improntate all’ottimismo – «tanto non ci prendono mai» – più di una certezza viene scalfita dalla prima proiezione che allarga la forchetta a favore di Bonaccini. La fede incrollabile di qualche «ospite» ingioiellata si basa su «studi statistici: le zone dove la Lega è più forte è sottorappresentata dall’Swg», dice la signora biondo platino imbucata in sala stampa.

A quanto pare, il Rubicone ha retto. Niente «liberazione» al contrario. Il referendum nazionale in cui Salvini aveva trasformato le Regionali in Emilia-Romagna avrebbe detto No al leader leghista. Che arriva all’albergo ed entra da una porta laterale dopo la diffusione dei primi dati. Rimane in silenzio fino a mezzanotte, mentre per tutto il giorno si era fatto sentire sui social, violando il silenzio elettorale e facendo arrabbiare mezzo web quando anche il ricordo di Kobe Bryant è sponsorizzato con il voto per la Lega.

L’obiettivo era quello di ripetere le Europee di primavera, quelle che fecero suonare un campanello d’allarme per Stefano Bonaccini. Di mezzo si sono messe le sardine, parola che nei corridoi leghisti è bandita: «Quelli sono tutti del Pd, altro che spontanei», è l’unica battuta che si riesce a spuntare. Il primo vip a presentarsi è Red Ronnie, un lungo passato socialista nella bassa bolognese, da qualche anno diventato salviniano convinto. La Borgonzoni tentava la parabola inversa di Alan Fabbri, ora sindaco di Ferrara e candidato alla presidenza della Regione nel 2014. Ora il suo futuro politico è al capolinea.

Per tutta la giornata i boatos su improbabili exit poll facevano alternare la bilancia da una parte e dell’altra anticipando un probabile testa a testa sul filo. Anche il raddoppio dei votanti veniva interpretato in modo ambivalente, fior fior di analisti sostenevano che sopra il 65% di affluenza la mobilitazione sarebbe stata ‘di tipo nazionale’ favorendo la destra.

La donna che da sottosegretaria alla Cultura si vantava di non aver letto un libro negli ultimi tre anni è sempre stata una comprimaria, assurta alle cronache parlamentare per aver indossato la maglietta «Parliamo di Bibbiano». Che il carisma dell’ex barista del Link, centro sociale bolognese, non fosse leggendario era chiaro a tutti. Anche a Salvini. Che l’ha dovuta scegliere e difesa per mancanza di alternative. Lui ha fatto la campagna elettorale, girando palmo a palmo quasi tutta la Regione da est a ovest, arrivando perfino a parlare con accento romagnolo in Romagna e con inflessione emiliana in Emilia.

Le prime parole di commento di Salvini in sala stampa a mezzanotte sono queste: «Ci tenevo a dire grazie ai milioni di persone che hanno votato». Cita Gaber sulla partecipazione, ma delusione sulla faccia è lampante. «Mi prendo un pezzettino di merito di aver ricoinvolto tante persone». Poi parla della Calabria, l’unica vittoria di ieri. «In Emilia Romagna è stata una cavalcata eccezionale, ma stancante».

Il 31 per cento alla lista della Lega che la prima proiezione accredita segna una piccola battuta d’arresto anche rispetto al 33 per cento delle Europee. Il trionfo nelle piccole città, nelle campagne e sugli appennini era la giustapposizione di una secolare spaccatura fra chi sta sulla via Emilia e chi è lontano dal cuore pulsante della regione. Le vittorie a Forlì e Ferrara erano state le ciliegine sulla torta, l’aver espugnato due rocca forti dell’ex Pci erano il preludio del trionfo alle Regionali. Una campagna partita per tempo, con il vento in poppa dell’Umbria che pian piano si è fatta sempre più scomposta, fino al blitz del citofono al Pilastro che ha spaventato non solo il quartiere della periferia bolognese.

Poco prima di pranzo aveva fatto un appello su Facebook invitando i cittadini della Calabria e dell’Emilia Romagna a non disertare le urne, si era poi dedicato alla figlia Mirta, con la quale ha prima visitato le stalle di un’azienda agricola e poi aveva pranzato. L’ultimo tweet di giornata cercava di riportare al centro lo scandalo degli scandali: «Pur di riportare a casa i bambini strappati alle famiglie, sono disposto a dare la vita, se necessario». Evidentemente gli ha portato male.

Borgonzoni aveva parlato a lungo la mattina al seggio di via Montebello, pieno in centro a Bologna, a conferma che lei nella battaglia politica ormai ontologica fra città e periferie viene dalle prime.