La Lega frena, M5S, almeno a parole, forza. La riunione del summit leghista sulla manovra di ieri mattina non ha partorito proposte precise. C’erano Salvini e Giorgetti, il viceministro Garavaglia, i sottosegretari Bitonci, Siri, Galli e Durigon, i presidenti di commissione Borghi e Bagnai. Insomma tutta la delegazione del Carroccio che si occupa d’economia nel governo più i pezzi forti nelle due camere.

MANCAVA SOLO PAOLO SAVONA, che non è leghista e dunque non aveva motivo di partecipare ma è ascoltato più di ogni altro da Salvini e dunque ha voce in capitolo . Di proposte concrete nel summit si è parlato poco. Più importante, per ora, fissare le linee generali.
Martedì prossimo si dovrebbero definire i capitoli precisi sui quali punta la Lega per la prossima legge di bilancio, per poi discuterne sia con i 5S che con il ministro dell’Economia Tria. La riunione era però importante dal punto di vista politico, se non tecnico.

A porte chiuse Salvini, come era del resto previsto in tutte le sedi istituzionali, si è mostrato molto meno ruggente e più pragmatico che nei comizi quotidiani. Le riforme vanno fatte tutte, su questo per il leader leghista non si discute. Ma spalmate in tre anni in modo da ridurre al minimo le tensioni con la Ue e sui mercati, perché il governo deve durare. Cosa significhi in concreto lo si capirà solo nelle prossime settimane.

DI CERTO CI SARÀ UNO STOP sul miraggio delle grandi opere privilegiando invece la manutenzione e la messa in sicurezza delle strutture, ma anche in questo caso procedendo con prudenza.

Non significa che la situazione con il Mef sia appianata. «Tria vuole portare il deficit al 2% ma io dico che si può fare qualcosina in più», ha spiegato Salvini. In realtà Tria non è affatto convinto dall’ipotesi di portare il deficit al 2%, perché significherebbe congelare l’intervento sul deficit strutturale, che nelle previsioni iniziali doveva essere ridotto di un punto percentuale, già derubricato allo 0,4% con il Def di aprile. Arrivare al 2% e oltre significherebbe non diminuire affatto il deficit strutturale e quello è invece uno degli impegni con Bruxelles che Tria, sia pure in misura ridotta, vorrebbe mantenere. Ma l’importante è che Salvini ha fatto chiaramente capire di non voler né sforare e neppure «sfiorare» il tetto del 3%, ipotesi che riporterebbe la tempesta in mercati tranquillizzati, nonostante le previsioni negative di Fitch, proprio dalle rassicurazione di Tria sulla determinazione nel mantenere gli impegni.

ACQUE MOLTO PIÙ AGITATE nel movimento di Di Maio. Il vicepremier intende portare a casa un risultato tangibile sul reddito di cittadinanza. Sente sul collo il fiato di una Lega che può permettersi di pazientare perché gode già di una ottima rendita di posizione, in termini di consenso, grazie alla campagna sull’immigrazione.

M5S, invece, avverte il rischio di un’emorragia proprio di consensi e Di Maio torna all’attacco: «In Italia ci sono 5 milioni di poveri e 8 milioni in povertà relativa: la priorità della legge di bilancio è questa. Non mi frega niente se un’agenzia di rating dice che il reddito di cittadinanza è inopportuno. È per seguire quelle agenzie che oggi ci troviamo con questo numero di poveri e di disoccupati». È la tentazione che serpeggia tra i 5S: far valere il vantaggio parlamentare sul Carroccio per imporre un’agenda che punti soprattutto sul reddito di cittadinanza. Solo che quel rapporto di forze, stando ai sondaggi, si è già rovesciato.