Sarà una settimana piena, anzi pienissima, quella che sta per cominciare. Sarà anche la prima vera prova per saggiare la tenuta della maggioranza gialloverde: nota di aggiornamento al Def, cioè le cifre della finanziaria anche se non ancora la loro destinazione nel dettaglio, decretone che accorpa quelli preparati da Salvini su sicurezza e immigrazione, valzer delle poltrone in Rai, sull’onda della nomina a presidente del cda del ricandidato Marcello Foa.

IL FRONTE PIÙ NEVRALGICO resta il primo e a pochi giorni dal varo della nota permane una totale incertezza, segnalata anche dall’increscioso caso Casalino che ieri ha tenuto banco. Salvini fa il rilassato: «Mica siamo matti a varare una manovra senza coperture mettendo a rischio i conti e il governo». Veste i panni del pompiere anche Giorgetti: «Non possiamo trascurare i vincoli della Ue né fare tutto subito». Conte, come al solito si sforza di non dire niente: assicura che i governanti sono «concentrati a tutti i livelli per fare la manovra migliore» e ci mancherebbe altro.
CIELO SERENO dopo una settimana tempestosa e doveroso relax? Fino a un certo punto. Salvini ieri ha assicurato che 8 miliardi bastano per mettere mano alla Fornero, con il solito obiettivo ormai acclarato di quota 100 con 62 anni d’età e 38 di contributi. La cifra va moltiplicata per 2, dato che M5S non si acconterebbe di un cent in meno di quelli concessi ai soci, e con 16 miliardi sarà difficile tenersi entro i limiti di quel 2% di deficit che già fa storcere la bocca a Tria che ufficialmente non ha ancora dato il suo beneplacito allo sforamento della sua linea del Piave, l’1,6%.
Alla fine, salvo irrigidimenti di natura tutta politica di Bruxelles, una quadra si troverà, o almeno questa è la sensazione che si avverte a pochi giorni dal traguardo. Ma, prevedibili dichiarazioni trionfalistiche a parte, la coperta sarà cortissima e al momento di mettere nero su bianco la destinazione della comunque esigua cifretta le tensioni sempre meno sotto pelle tra Lega e 5S potrebbero esplodere.

IERI SALVINI HA PARTECIPATO alla festa FdI “Atreju”, a Roma, accolto con calore ma senza soverchio entusiasmo. Ha cercato di ridimensionare la resurrezione del centrodestra: «Non c’è nessun doppio forno: con Berlusconi solo accordi locali». È un segnale, che però non riguarda i rapporti del Carroccio con Fi, che infatti non fa una piega, ma quelli con M5S. Salvini sa perfettamente quanta irritazione abbiano suscitato tra i 5S l’incontro di Arcore e il vertice di palazzo Grazioli. I nervi non sono certo stati distesi dall’ultimo sondaggio che, tanto per cambiare, segnala un ulteriore allargamento della forbice tra i soci di maggioranza, con i verdi che sopravanzano di quasi 4 punti i gialli: 31,2% contro 27,6%.

I SEGNALI DI FRIZIONE sono ormai quotidiani: Giorgetti critica Casalino il Minaccioso, Conte e l’esule Di Battista lo difendono a spada tratta. Da Fico, ormai apertamente leader della dissidenza, piovono nuovi anatemi contro il condono, al quale Salvini non ha neppure la minima intenzione di rinunciare e il presidente della Camera non si risparmia una stoccata al veleno: «Gli sbarchi erano già calati con Minniti». Il decreto stesso rappresenta un’incognita. Se, come pare certo, Salvini non lo stempererà, il Colle non nasconde di aspettarsi un supporto da Conte, ma anche dai 5S, prima di dover ricorrere al mezzo estremo del respingimento.
Salvini sa di poter contare sull’asse con Di Maio, che per ora resiste nonostante tutto.

MA LA BASE di quel sodalizio è la possibilità per entrambi di avere a disposizione fondi per poter vantare risultati concreti e la situazione non è affatto identica: quella necessità è molto più forte per i 5S di quanto non sia per la Lega, ed è molto più urgente per Di Maio, che sconta una dissidenza interna ancora sotto traccia ma emergente.
I 10 miliardi per ciascuno dai quali erano partiti sarebbero bastati. Con 8 sarebbe più difficile. Un budget di 6 miliardi a testa è destinato a fomentare malumori crescenti.