Un bel «Grazie», tutto in maiuscolo. Un po’ d’esultanza da stadio: «Sette a zero, voti della Lega triplicati, saluti alla sinistra e ora si cambia anche in Europa». Il ritornello era prevedibile ma non ingiustificato: la vittoria del candidato di centrodestra Vito Bardi con il 42,20% dei voti e 9 punti di scarto sul centrosinistra di Trerotola non registra solo il sesto successo della destra dopo le elezioni politiche ma anche, trattandosi di una Regione governata dalla sinistra da 24 anni, di un segnale complessivo del cambiamento di fase.

Però ai motivi di soddisfazione si accompagnano anche, inconfessabili, quelli che invece preoccupano il capo leghista. Il primo è il crollo dei 5S. Ieri i leghisti erano soddisfatti anche per il non essere andati troppo bene: «Se avessimo preso 10 punti in più c’era il rischio che i 5S non reggessero». E infatti Salvini si affanna a garantire che i soci hanno vinto pure loro: «Io non vado all’incasso e il governo dura altri 4 anni. I 5S hanno avuto un buon risultato e se fossi Di Maio non mi preoccuperei». Il socio non si fa pregare e concorda, forte del fatto che comunque il movimento che dirige è quello con più voti. «Sono molto contento. M5S è il primo partito e non esiste alcuna strada verso il bipolarismo in Italia». Ma quei venti punti in meno pesano e la preoccupazione del leader leghista, che teme di perdere per strada l’alleato più comodo che potesse immaginare, è palpabile.

La seconda spina è il risultato non insoddisfacente dell’ala centrista della coalizione di destra: messe tutte insieme quelle liste sono intorno al 17%, dunque non troppo distanti dalla Lega. Senza contare il particolare per cui i risultati da cappotto che Salvini vanta sono di una coalizione con la quale non ha alcuna intenzione di governare il Paese.

Il problema di Matteo Salvini ha un nome e un cognome: Silvio Berlusconi. Il leader che è stato per 25 anni fulcro della politica italiana è una presenza troppo ingombrante. Impossibile proporsi come innovatore avendolo al fianco. Anche più difficile trattarlo da comprimario. Berlusconi, inoltre, significa anche avere a che fare con quegli esponenti azzurri che da mesi lo bersagliano su tutti i fronti, da Gelmini a Brunetta, da Carfagna a Bernini passando per il più prudente Tajani. Tutti stimati colleghi che il leghista ha intenzione di evitare il più a lungo possibile. Quel che Salvini aspetta non è solo di salassare sino in fondo il forziere azzurro. E’ l’uscita di scena politica del Cavaliere.

Per i prossimi mesi il ministro degli Interni ha dunque in mente un gioco incrociato: mira a imporsi come figura di primo piano sullo scenario europeo, dove i 5S saranno inesistenti, e progetta di usare quel palcoscenico, sommato al risultato elettorale, per affermarsi definitivamente come dominus della politica italiana. Cosa significhi in concreto al momento non lo sanno neppure i leghisti. La tentazione di rivendicare il ministero dell’Economia è ancora forte, anche se ieri proprio il leader del Carroccio ha difeso Tria: «Fa parte di una squadra fortissima». Però «se non firma i decreti attuativi per i rimborsi ai risparmiatori truffati li andiamo a scrivere noi». La Lega inoltre insiste perché la Flat Tax sia inserita nel Def, idea che non sorride al ministro. E tuttavia tra Salvini e Tria la distanza è minore che tra il ministro e Di Maio, con la Lega che frena sull’istituzione della commissione d’inchiesta sulle banche reclamata dai 5S.

Se le pressioni e le tensioni intrecciate metteranno all’ordine del giorno il cambio della guardia in via XX settembre il Carroccio reclamerà quella postazione. Altrimenti potrebbe insistere su ministeri appena meno nevralgici, come le Infrastrutture e la Sanità. Ma neppure questa è una decisione già presa, perché al primo posto campeggia la necessità di evitare la crisi. Una sola cosa è già certa: i nuovi rapporti di forza peseranno sulle scelte concrete. Sulla Tav, sulle autonomie, sulla Flat Tax. Sempre che i 5S reggano agli urti: perché a far mancare la maggioranza al Senato basterebbe pochissimo e a quel punto sia le elezioni che il governo con Berlusconi sarebbero per Salvini inevitabili.