«Se sarà premier parteciperà ai festeggiamenti per il 25 aprile?», chiedeva il Corriere della Sera a Matteo Salvini alla vigilia delle ultime elezioni. E lui rispondeva: «Sì, certo. Sarà mio dovere essere presente». Premier non lo è diventato, ma vice sì e smentendosi alla prima occasione ha deciso di non partecipare a nessuna cerimonia pubblica per la Liberazione. Domani, proprio domani, inaugurerà un commissariato di polizia a Corleone. Perché «fascismo e comunismo non ritornano» e «i pericoli reali oggi sono la mafia e il terrorismo».

Salvini spinge al massimo il suo relativismo, aggiungendo che non sarà «in corteo qua o là». Perché impegnato, tagliando un nastro, «nella lotta contro la mafia che non conosce festivi o prefestivi». A ciascuno, bontà sua, il diritto di «festeggiare vestito e colorato come meglio crede». Lui starà lontano, lo aveva già detto, «dai fazzoletti rossi, fazzoletti verdi, neri, gialli e bianchi». Tutti i colori uguali, tutti uguali, il 25 aprile, fascisti e comunisti. Il revisionismo dall’alto, da palazzo Chigi, è così completo. Ma, ribatte subito l’associazione partigiani con una dichiarazione che è soprattutto una speranza, «nessuno riuscirà a cancellare la festa del 25 aprile». Nemmeno «chi cerca di negarla, paragonandola a uno scontro tra fascisti e comunisti, mentre fu lotta vincitrice del popolo italiano contro il nazi-fascismo».

Di questi, Di Maio non ne lascia passare una al compagno di governo, e per questo decide di vestirsi da resistente. «Leggo che qualcuno oggi arriva persino a negare il 25 aprile», scrive sul suo diario pubblico: i due vice presidenti del Consiglio infatti si parlano via facebook. «Lo trovo grave – aggiunge il capo 5 Stelle – con il menefreghismo non si va da nessuna parte». L’affondo contro Salvini non si ferma, più avanti Di Maio aggiunge: «È curioso che coloro che oggi negano il 25 aprile siano gli stessi che hanno aderito al congresso di Verona, passeggiando mano nella mano con gli antiabortisti». Se l’identikit di Salvini è preciso, il legame tra le due vicende risulta un po’ oscuro se non che tutto fa brodo per attaccare l’alleato.

Soprattutto se può servire ai 5 Stelle per togliersi un po’ di quella patina di estrema destra che la frequentazione con la Lega gli deposita addosso. E infatti quando il segretario nazionale della Cgil Maurizio Landini, badando al sodo più che ai distinguo, mette insieme tutto il «governo» condannandone «l’atteggiamento sbagliato e inaccettabile» con cui affronta il 25 aprile perché «hanno giurato sulla Costituzione e se non c’era la Liberazione non c’era la democrazia», immediatamente l’ufficio stampa dei grillini ricorda a Landini che «il 25 aprile il M5S sarà insieme a tanti altri manifestanti nelle piazze italiane, a partire proprio dal nostro vicepremier Di Maio che parteciperà alle celebrazioni organizzate dalla Comunità ebraica a Roma».

La comunità, infatti, anche quest’anno ha scelto di non unirsi – come ormai da cinque anni dopo una furiosa lite in piazza tra i rappresentanti dei palestinesi e lo spezzone della brigata ebraica – alla tradizionale manifestazione dell’Anpi a porta San Paolo. Gli ebrei romani celebreranno il 25 aprile in due appuntamenti, alla sinagoga di via Balbo, dove ci saranno Di Maio e Bonafede, e al cimitero del Commonwealth, dove ci sarà la ministra Trenta.

Eppure quello che Salvini dice oggi del 25 aprile non è diverso da quello che hanno detto per anni proprio i grillini. A cominciare dal 25 aprile di undici anni fa, la data scelta da Grillo per il suo secondo V-Day a Torino al grido «siamo noi i veri partigiani». Sempre per Grillo, nel 2013, il il 25 aprile era «morto» e nello stesso anno l’allora candidato a sindaco di Roma Marcello De Vito (attualmente in custodia cautelare in carcere) quasi con le stesse parole di Salvini annunciò di non partecipare alle manifestazioni «per sottrarmi alle solite commedie». Di «fascismi rossi e neri» parlava ancora il movimento nel 2015, quando Casaleggio senior spiegava che le «categorie» fascismo e antifascismo servivano solo a «strumentalizzare», perché «non va demonizzato nessuno, è possibile che in entrambe le parti ci siano stati errori ma anche scelte fatte in buona fede».

Tutto facile da spiegare: i 5 Stelle all’epoca avevano l’esigenza, opposta a quella di oggi, di accreditarsi presso gli elettori di destra. Adesso invece Di Maio, in difficoltà, deve riscoprire il 25 aprile. E il suo post «resistente» riceve alcune migliaia di like più di quello di Salvini, che pure ha molti più amici su facebook. Sono cose che contano.