Berlusconi ci ripensa. Ora non solo riconosce la necessità di dialogare e trattare con M5S ma fa sapere che vuole essere della partita, trattare anche lui direttamente. Lo ha detto ieri a Salvini, nella telefonata con cui i due leader hanno preparato il vertice del centrodestra che si svolgerà domani mattina per decidere come muoversi nella partita sulle presidenze delle camere che inizierà venerdì ma difficilmente si concluderà nella stessa giornata.

Per ore, ieri, ha circolato una voce poi smentita con pari decisione sia dalla Lega che da M5S, quella di una spartizione ai massimi livelli: Salvini al Senato, Di Maio alla Camera. Non è un’ipotesi del tutto assurda. Risponderebbe a una logica politica precisa.

Risolverebbe inoltre le difficoltà nelle quali si dibattono ancora i due partiti usciti vincenti il 4 marzo. Solo che un passo del genere significherebbe aver rinunciato a ogni possibilità di dar vita a un governo. Si tratterebbe di due presidenze «da campagna elettorale» e proprio la tassatività con cui l’eventualità viene negata dai rispettivi quartier generali indica che a quel miraggio né Salvini né Di Maio hanno per il momento rinunciato. Non è detto però che le cose non possano cambiare proprio nel corso della partita, che si delinea difficile, sulle presidenze.

Tra domenica sera e ieri mattina è caduta infatti la soluzione che si profilava come più probabile: quella dell’ascesa alla presidenza del Senato di Paolo Romani, capogruppo azzurro ma gradito sia alla Lega che al Pd, che lo avrebbe probabilmente votato.

Poi è arrivato il veto di Di Maio, dovuto alla condanna per peculato. Il fattaccio per la verità non è da enciclopedia del crimine: una bolletta telefonica di alcune migliaia di euro per telefonate fatte dalla figlia di Romani con il telefono di servizio quando il futuro capogruppo forzista era assessore a Monza.

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Per un po’ era sembrato possibile che Di Maio soprassedesse. In fondo si tratta dello stesso uomo che proprio ieri ha riaccolto a braccia aperte Emanuele Dessì, quello che pagava sette euro al mese d’affitto per una casa di proprietà del comune e che il medesimo Di Maio aveva definito prima del voto «fuori dal movimento». Invece niente da fare. Ieri mattina, di fronte alla prima assemblea dei senatori a cinque stelle, il leader ha confermato il verdetto: «Non accetteremo come presidenti i condannati o persone sotto processo».

Sulla carta, a partire dalla quarta votazione, il centrodestra ha i numeri per eleggere Romani da solo. Cadrebbe però in questo modo qualsiasi ipotesi d’intesa con i 5S, e a quel punto la destra dovrebbe seguire la strada sponsorizzata da Giorgia Meloni, che ieri si è sentita a sua volta con Salvini, e tentare di conquistare anche lo scranno di Montecitorio.

Alla Camera, però, le norme sono diverse da quelle di palazzo Madama. Non basta la maggioranza relativa alla quarta votazione.

Per farcela senza M5S il centrodestra avrebbe bisogno dell’appoggio del Pd. Ieri il capogruppo dem Rosato, senza rivendicare apertamente quella poltrona, ha suggerito come «mossa intelligente» affidare una presidenza all’opposizione:opzione che al momento non pare presa in considerazione né dalla destra né da M5S.

Anche la via che passa per la sostituzione di Romani con un forzista gradito a Di Maio non è facilmente praticabile: sia perché significherebbe doversi inchinare al diktat di M5S, sia perché non è facile trovare un altro papabile gradito sia ad Arcore che al Carroccio, anche senza contare il clamoroso sgarbo nei confronti dello stesso Romani.

L’eventuale decisione di forzare da parte di Fi e FdI metterebbe la Lega di fronte a un dilemma irresolubile: rompere l’unità del centrodestra, perdendo così la possibilità di confermare la leadership dell’intera coalizione e di ereditare buona parte dei voti azzurri, oppure accettare la chiusura del dialogo com M5S, sacrificando così il ruolo di architetto, a mezzadria con Di Maio, del nuovo assetto politico-istituzionale che il leghista sta cercando di ritagliarsi dalla sera delle elezioni.

È dunque probabile che la Lega insisterà su un proprio esponente anche per il Senato, con Giulia Bongiorno in pole position. Sempre che Forza Italia si rassegni.