Una lettera di Luigi Di Maio al premier Conte in cui il capo politico dei 5 Stelle accusa Matteo Salvini di aver eseguito pochi rimpatri di immigrati irregolari è la scintilla che fa scoppiare l’ennesima lite tra i due soci di governo. Il pretesto questa volta sono due fatti di cronaca, entrambi con protagonisti cittadini stranieri. Il primo avviene il giorno di Pasqua a Torino, dove un senegalese di 26 anni armato di una sbarra di ferro aggredisce due poliziotti ferendone uno alla testa. A Roma invece un litigio tra due senza fissa dimora rischia di trasformarsi in una guerra di religione. Un migrante marocchino sferra una coltellata al collo di un georgiano: «Mi ha aggredito perché avevo una catenina con il crocefisso» spiega agli agenti la vittima, sulla cui versione esisterebbe però qualche dubbio.

Due episodi che, per quanto gravi, potrebbero concludersi nelle pagine di cronaca e che invece finiscono in quelle della politica. Il primo a reagire è ovviamente il ministro degli Interni: «Scrivo a tutti i prefetti e questori per aumentare controlli e attenzione in luoghi di aggregazione di cittadini islamici, per prevenire ogni tipo di violenza contro cittadini innocenti» dichiara Salvini, non immaginando probabilmente di scatenare la reazione dei 5 Stelle. Di Maio decide infatti di scrivere una lettera a Conte. «Il problema ce lo abbiamo in casa, non è che scrivendo una lettera o una circolare si risolvono le cose», afferma. «Bisogna fare di più sui rimpatri che sono fermi al palo». Conseguente la richiesta al premier di convocare «quanto prima un vertice sui rimpatri, ancora fermi». Praticamente immediata la replica del leghista: «Se gli amici dei 5 Stelle hanno voglia, tempo e idee, ho convocato proprio per domani (oggi, ndr) alle 10 una riunione al Viminale su immigrazione, terrorismo, sbarchi ed espulsioni, riunioni che in questi mesi hanno portato a Decreti, proposte di legge e Direttive che hanno dato i risultati positivi che tutti gli italiani hanno notato».

In undici mesi di governo è la prima volta che dai 5 Stelle arriva una critica così esplicita e pesante all’alleato su una materia come il contrasto dell’immigrazione irregolare, fiore all’occhiello del ministro leghista. Ulteriore segnale di come, al di là delle rassicurazioni quotidiane, la tensione tra soci sia ormai altissima. E anche se è difficile che al vertice fissato per oggi al Viminale possano arrivare dai 5 Stelle proposte concrete su come aumentare le espulsioni degli irregolari, per Salvini quel «i rimpatri sono fermi al palo» rappresenta un’accusa che brucia. Anche perché non distante dalla verità.

Archiviate infatti le promesse elettorali di un anno fa, nelle quali annunciava l’espulsione in tempi brevi degli oltre 500 mila migranti irregolari presenti in Italia, una volta arrivato al Viminale Salvini ha per forza di cose dovuto fare i conti con la realtà. A parlare sono come sempre i numeri: nei primi sei mesi di governo gialloverde i rimpatri forzati sono stati 3.626 secondo i dati forniti dal Viminale, 1.606 quelli effettuati invece dal 1 gennaio al 28 marzo scorso, dei quali 1.490 forzati e 116 volontari. A complicare le cose c’è poi il fatto che i rimpatri non si possono attuare senza un accordo con il Paese di origine del migrante. Nonostante a settembre dell’anno scorso Salvini abbia annunciato di lavorare per raggiungere intese con Senegal, Pakistan, Bangladesh, Eritrea, Mali, Gambia, Costa d’Avorio, Sudan e Niger, al momento l’Italia può contare su soli quattro accordi, siglati da anni con Marocco, Egitto, Tunisa e Nigeria. Anche per questo, come direbbe Di Maio, i rimpatri «sono fermi al palo».