Abbiamo ascoltato con grande preoccupazione le parole del Ministro dell’Interno sulla volontà di chiudere i negozi di Canapa: «Darò ordine alle Forze di polizia perché in questi giorni li chiudano uno a uno» aggiungendo, che «uno su due sono centri di spaccio». Si intende criminalizzare giovani e piccoli contadini che hanno ritrovato nel recupero dei terreni e nella cultura florovivaistica della canapa Industriale un possibile impiego «a misura d’uomo»? Si vuole demonizzare un settore che all’estero sta avendo una crescita economica e culturale sorprendente? Sembra un paradosso ma le minacce del ministro se da una parte paiono preoccupanti per la veemenza, l’intolleranza e l’ignoranza che esprimono (intesa come non conoscenza dei fenomeni) dall’altra rispettano pienamente una recente tendenza all’arbitrio che, forzando la lettera e lo spirito delle leggi, ne inasprisce e irrigidisce l’applicazione colpendo le basi dello stato di diritto.

Non dimentichiamo le sue dichiarazioni di chiudere i porti denunciando i volontari e facendo sequestrare la nave senza alcun fondamento giuridico che sostenesse tali azioni (infatti la conclusione giudiziaria ha portato al dissequestro per le navi e all’archiviazione per le persone); e le minacce usate come deterrente o come propulsore di una campagna elettorale ricca di disinformazione e di notizie errate.

Già nei mesi scorsi il ministro dell’Interno aveva annunciato i sequestri in decine di negozi rivenditori di canapa dimenticandosi però poi di comunicare che in nessuno dei casi riportati si era poi avviato un procedimento penale. Tutti archiviati in quanto i prodotti e le licenze erano risultati tutti regolari. Ma questi interventi “elettorali” con pattuglie, sequestri, verbali, quanto costano alla collettività? Quanto costano ai piccoli imprenditori che intraprendono questa esperienza? Tutto per una esigenza di strumentalizzazione elettorale tanto cara all’attuale titolare del dicastero?

Anche l’ultima sentenza della sesta sezione della Cassazione ribadisce in maniera inequivocabile la liceità della vendita di un prodotto che, (bene ha fatto la ministra Grillo a ricordarglielo) non contiene sostanza “drogante” o ha una percentuale di principio attivo non rilevante (al di sotto lo 0,6% di Thc) perfettamente in regola con l’attuale legislazione sugli stupefacenti.

La Comunità San Benedetto al Porto di Genova è una Associazione di Promozione Sociale accreditata al Servizio Sanitario Nazionale che lo scorso week end ha realizzato ad Alessandria il Primo Festival cittadino sulla canapa legale (la canapa legale è quella che prende il nome di canapa industriale, i nostri nonni la chiamavano Canapone). La nostra Comunità ha avviato da quattro anni, con il sostegno e il contributo di una piccola fondazione locale, Fondazione Social, un progetto di filiera artigianale e biologica della canapa e delle infiorescenze presso i terreni una volta sedi di Comunità Terapeutiche. In questi anni abbiamo imparato che oltre a recuperare le persone dalle dipendenze e dai comportamenti criminogeni, è possibile attraverso la coltivazione della canapa recuperare cultura, territori, lavoro, saperi. E investire sull’occupazione giovanile.

Con la nostra piccola cooperativa produciamo e vendiamo canapa legale e promuoviamo cultura del benessere, della responsabilità, della salute individuale e pubblica, impiegando al lavoro persone svantaggiate o vulnerabili: siamo educatori, psicologi, assistenti sociali, sociologi. Con il Cannabidiolo (un cannabinoide che non ha effetti stupefacenti ed è legale), i nostri clienti sperano di alleviare sofferenze che non trovano risposte adeguate nei farmaci tradizionali.

Attendiamo con fiducia la decisione delle Sezioni Uniti della Cassazione prevista per il 30 maggio per fare chiarezza ed evitare strumentalizzazioni propagandistiche.

* Comunità San Benedetto al Porto