Rompe, non rompe, rinvia a febbraio, macché è inchiodato al governo fino all’ultimo sussulto di legislatura. Gli è bastato il chiarimento per finta di Draghi, no no, non si accontenta, vuole il ritiro della riforma del catasto, chimera irraggiungibile, e anzi già che c’è lancia una bordata gratuita contro la riapertura delle discoteche al 35% della capienza: «È una presa in giro». Capire la strategia di Salvini è impossibile, perché quella strategia non c’è. In discussione non c’è una crisi di governo immediata, che nessuno reputa possibile e che lo stesso Salvini esclude strillando a pieni polmoni. C’è la sorte del governo dopo l’elezione del capo dello Stato: a febbraio, che politicamente è dietro l’angolo. Ma una decisione in merito Salvini non l’ha presa, il punto di caduta è ignoto a lui prima che a tutti gli altri e la conseguenza inevitabile è un’agitazione scomposta, che è confusa e quindi confonde.

LA GIORNATA DI IERI si è aperta con umori e parole che in qualsiasi altra circostanza avrebbero fatto almeno temere una crisi immediata che invece nessuno paventa nemmeno un po’. I leghisti alzano la voce in coro: da Bagnai, «difficile restare in un governo dove ti trattano da opposizione», a Molinari, «ci stanno accompagnando all’uscita dalla maggioranza». In mattinata un altissimo dirigente esplicita il sospetto di tutti: «Draghi ci vuole fuori dalla maggioranza». Salvini spunta nel pomeriggio e torna alla carica: «Non firmo assegni in bianco. Nessun aumento presente o futuro delle tasse avrà mai il sostegno della Lega. La riforma del catasto è una patrimoniale mascherata. Ma la Lega resta al governo: escano Letta e Conte se vogliono». Da Brno, Slovenia, replica il premier e al solito non arretra di un centimetro: «Il governo va avanti. Non può seguire il calendario elettorale. Non c’è nessuna patrimoniale sulla casa». Draghi conferma la tabella di marcia del governo: la riforma del catasto, «operazione di trasparenza», arriverà subito ma senza alcuna modifica delle imposte fino al 2026, quanto l’intervento sulle tabelle sarà inevitabile.

È PROPRIO QUELLO che Salvini vorrebbe evitare. Infatti si finge soddisfatto per la rassicurazione sulla patrimoniale ma insiste perché sia il parlamento a seppellire la riforma del catasto, obiettivo non raggiungibile perché Draghi non ha alcuna intenzione di ripensarci e figurarsi poi i leader di maggioranza: non solo Letta e Conte, che con i ballottaggi in arrivo caricano i toni quanto più possibile, ma la stessa Forza Italia che, sorprendendo la Lega che non se l’aspettava, si è schierata senza alcuno spiraglio a favore della riforma. Se alle parole seguissero i fatti la crisi sarebbe inevitabile.

NON SARÀ COSÌ. Dietro i ruggiti il clima è anzi più disteso del giorno precedente, soprattutto grazie allo sforzo diplomatico dei «governisti» del Carroccio. Oggi i leghisti saranno presenti al cdm e nella precedente cabina di regia sarà presente Giorgetti. Il colloquio chiarificatore tra il premier e il capo della Lega è già stato concordato: potrebbe svolgersi oggi stesso ma comunque a stretto giro. La strada individuata dalle colombe leghiste passa proprio per l’individuazione di una sede, formale come l’ormai desueto vertice dei leader di partito o più probabilmente informale, che permetta un rapporto più continuo e diretto tra il premier e Salvini.

MA SE NESSUNO TEME guai imminenti, per febbraio il discorso è diverso. Ai ministri del Pd Letta ha detto senza mezzi termini che Salvini si prepara a uscire. Letta e Conte concentrano il fuoco sull’attacco al governo e personalmente a Draghi del capo leghista, proprio per chiarire da subito che se Salvini uscirà sarà per sua scelta, non perché costretto o messo alla porta. Gli azzurri e i governisti della Lega considerano «molto improbabile»che Salvini scelga il colpo di testa. Però non impossibile. Per ogni evenienza i 32 parlamentari di Coraggio Italia, il movimento di Toti, si preparano a correre in soccorso votando la fiducia se Salvini dovesse ripetere il Papeete. Ma le cose sono molto diverse da allora. La chiave per arrivare alle elezioni subito non sarebbe una spallata ma l’elezione di Draghi alla presidenza della Repubblica e a quel punto lo stesso Pd, che teme la nascita di un terzo polo centrista, potrebbe considerare opportuno il ricorso anticipato alle urne. L’attacco alla cieca di Salvini si intreccia così con una partita che sarebbe comunque tanto complessa quanto decisiva per il Paese. E la rende ancora più caotica.