Una catena di fallimenti che può costarci la salute. È la questione delle mutue, una vicenda paradossale: un particolare tipo di tutela sanitaria, definita mutualistica, nasce e fallisce generando la necessità di un’altra idea di tutela definita universalistica che a sua volta nasce e fallisce.Così giustificando per qualcuno il ritorno alla tutela mutualistica che avremmo dovuto superare. Ma come si esce da questo circolo vizioso?

Il buon senso ci suggerirebbe prima di tutto di chiudere il rubinetto: basta con la detassazione degli oneri. Non è vietato farsi una mutua ma chi la vuole se la paga. Ciò ci permetterebbe di destinare alla sanità pubblica un bel po’ di soldi con lo scopo di migliorare l’offerta di servizi quindi vincolarla ad accrescere prima di ogni altra cosa l’accessibilità al diritto (accesso agevolato ai servizi, comprare innovazione tecnologica, liste di attesa intelligenti, orientare i servizi alla domanda, assumere personale ecc).

Ma per uscire davvero dal circolo vizioso bisogna mettere in crisi l’inclinazione del nostro sistema sanitario a restare fondamentalmente invariante ristagnando in una cultura mutualistica cioè quella che assicura solo prestazioni di cura e per giunta in un modo vecchio e inefficiente.

Chiarisco che si ha invarianza quando i modelli di base della tutela sanitaria non cambiano mai anche cambiando ordinamenti, organizzazioni, forme di governo, modelli di finanziamento. La sanità se continua ad essere un dispensario di ricette continua ad essere una mutua, anche se universale.

La vera alternativa alle mutue è una sanità letteralmente sostenibile cioè non solo lean production (senza sprechi) ma fondata su una idea radicalmente rinnovata di tutela e di salute.

Troverei quindi discutibile rispondere alle mutue che escludono e fanno diseguaglianze facendo altre mutue o allargando la loro recettività sociale (“mutue territoriali” o “regionali”) e includere gli esclusi, in modo particolare i pensionati e i precari. (E il sud dove lo includiamo?) O inventare forme di accesso privilegiato ai servizi pubblici magari estendendo la libera professione intra moenia, cioè privatizzare ancora di più il sistema pubblico, o battere la strada antica delle convenzioni tra mutue e servizi pubblici. O contrattare a ribasso i costi delle prestazioni riducendo la qualità dell’assistenza.

L’alternativa alle mutue ha una natura antibiotica e coincide con la rimozione delle loro contraddizioni storiche: insostenibilità, domanda e offerta squilibrata, cura senza prevenzione, solo prestazioni assistenziali ecc.

Il punto di svolta resta uno: più salario e più salute agli operai non mutue, e se si ammalano un servizio sanitario pubblico che funzioni come si deve.

Come? Quattro idee per una svolta riformatrice:

1) Distinguere la ricchezza di un paese dalla sua ricchezza economica, cioè dal Pil, la salute è produzione di ricchezza quindi più ricchezza produco e meno Pil dovrò impegnare per curare le malattie. La riduzione della spesa sanitaria in rapporto al Pil non si ottiene con i tagli ma con la popolazione in salute.

2) Se è vero che l’insostenibilità del vecchio sistema mutualistico è stata causata da un forte squilibrio tra contributi e prestazioni allora mettiamo in equilibrio le risorse necessarie con l’offerta di servizi. Oggi troppe sono le diseconomie del sistema pubblico. Quindi si tratta di cambiare i modelli di finanziamento, di allocazione e di gestione.

3) Riformare il lavoro . Diamo più autonomia a chi lavora per avere in cambio più responsabilità ma verifichiamo e paghiamo il lavoro sui risultati.

4) Ripensare la medicina, il modo di insegnarla, aggiorniamola alla sfida della complessità, insegniamo a tutti a servirsi delle relazioni, a scegliere la cosa giusta, a sbagliare di meno ad essere più bravi. Insomma contro il mutualismo i vuole una “quarta riforma”.

Una chicca finale: Renzi ha reso pubblico il suo documento congressuale («Avanti, insieme») sulla sanità (punto 6) non parla più di «diritto alla salute» quindi di art 32, ma di «diritto alla protezion» proprio nel senso mutualistico di una volta. Egli prevede un «pavimento di diritti sociali accessibili a tutti» (welfare minimo) integrati da «ulteriori diritti» reddito-dipendenti cioè mutue e fondi integrativi (welfare aziendale). «Prendersi cura di ciascuno in base all’effettivo bisogno di protezione e al suo reddito» questo è lo slogan di Renzi detto “il mutualista” certamente il più brillante Chigago boys.