La fabbrica della bellezza. La manifattura Ginori e il suo popolo di statue (Firenze, Museo Nazionale del Bargello, fino all’1 ottobre) non è una mostra come le altre. In cima alla lista degli obiettivi dei suoi curatori – Tomaso Montanari e Dimitrios Zikos, con la collaborazione di Cristiano Giometti e Marino Marini – non c’è soltanto la rievocazione della prima stagione delle porcellane fiorentine (delineata con cura nel catalogo edito da Mandragora). Si vuole ribadire, invece, attraverso un racconto persuasivo, il valore specifico di quella Manifattura. La crisi, culminata nel fallimento del 2013, è in cerca di una conclusione da ormai troppi anni. Così come non è ancora del tutto risolto il rischio che l’azienda e l’adiacente museo (oggi ridotto in stato di straziante degrado) prendano strade diverse. Sarebbe intollerabile immaginare l’una separata dall’altro, fuori dalle sedi storiche.
Una presa di posizione, quindi, ma anche un invito alla consapevolezza. Il dato evidente, infatti, è che l’identità di Firenze risiede anche nella storia della Richard Ginori. Fiorentino è il palcoscenico d’azione (Sesto Fiorentino), fiorentino è il modello d’impresa (gli opifici granducali), fiorentino è, come spiega il progetto espositivo, il gusto creativo.
Nella storia della porcellana europea la Manifattura Ginori ha un marcato carattere di unicità. E questo grazie alle straordinarie doti d’intraprendenza e curiosità del marchese Carlo. È a lui che spetta il merito di aver introdotto in Toscana l’arte della porcellana a pasta dura. Ed è con lui che prende avvio un nuovo, insperato, capitolo della storia della scultura fiorentina. Dando uno slancio programmatico al progetto, Ginori rifiuta la creazione monotona di eleganti minuterie d’uso corrente e indirizza la sua impresa verso l’esecuzione di equivalenti in porcellana delle grandi statue del passato. La Venere de’ Medici, rappresentativa delle sculture tecnicamente audaci che i forni Ginori licenziarono agli esordi, ne è un esempio.
Decisa com’era a entrare nel cuore delle botteghe fiorentine, la ricerca non si ferma all’antico e fa proprie le fantasie dei monopolisti della plastica contemporanea, Giovanni Battista Foggini e Massimiliano Soldani Benzi. L’allestimento della mostra porta lo sguardo a confronti costanti. Molte opere – e tra queste il doloroso Compianto su Cristo e la Morte di San Giuseppe di Soldani Benzi – sono documentate perciò in più di una versione: in bronzo, in cera, in terra cruda e cotta. Una rassegna quasi completa delle gradazioni tattili di una stessa idea.
Conquistato il controllo della materia e della tecnica, la strada inaugurata ne apre subito altre, dando l’impulso a forme inedite di aggregazione. Appaiono così insieme, in un’unica scrittura, i simboli del Rinascimento e soluzioni figurative più avanzate. Ecco il Tempietto Ginori dell’Accademia Etrusca di Cortona. Complicato e immenso, è un microcosmo di idee: un complesso di allegorie e di ritratti medicei che, a mo’ di albero genealogico, si annidano lungo tutta la superficie. È difficile staccarne gli occhi senza provare il dubbio di aver trascurato qualche dettaglio.
Il Camino, nato per la Galleria d’esposizione che accoglieva i visitatori dell’industria, condivide lo stesso spirito. Qui, per effetto di una collaudata logica citazionista, accanto a modelli attuali, sono schierati il Crepuscolo e l’Aurora, i titani che Michelangelo aveva lasciato a guardia delle tombe medicee in San Lorenzo (in mostra insieme alle repliche in terracotta del Tribolo). Quale brillante esibizione di bravura!
Lo scorso marzo il ministro Dario Franceschini ha annunciato che lo Stato acquisterà il Museo della Manifattura. La svolta sembra a un passo. Nell’affermare come Carlo Ginori regalò alla Firenze sopravvissuta agli ultimi Medici, un residuo d’incanto, una delle più alte pagine nel campo dell’artigianato artistico, la mostra del Bargello dimostra la sua più concreta attualità. Tiene alta l’attenzione nel momento più delicato, quello in cui una soluzione intorno alla più antica e longeva industria ceramica d’Italia pare concretizzarsi. Non si può che condividere il messaggio prezioso di cui si fa portatrice: salviamo il Museo Ginori!