La notizia, forse, avrà turbato pochi – nel nostro mondo devastato dalla pandemia. In questi giorni, stanno riaffiorando i corpi di 17 milioni di visoni fatti uccidere – sterminare è la parola giusta – all’inizio di novembre dal primo ministro danese, dopo che in diversi allevamenti erano stati individuati casi di contagio da Covid-19 sia tra gli animali, sia tra gli addetti degli allevamenti. Qualche giorno fa, il primo ministro, la socialdemocratica Mette Frederiksen, è scoppiata in lacrime durante la visita a un allevamento. Il motivo del pianto? La crisi dell’«industria» dei visoni causata dallo sterminio. Secondo quanto è stato riconosciuto da Frederiksen, il governo non aveva l’autorità di ordinare l’eliminazione dei visoni e di conseguenza il ministro dell’agricoltura si è dimesso. Ma ora una legge colmerà la lacuna.

Decisioni simili sono state prese in diversi paesi europei (Spagna, Olanda, Ungheria ecc.), anche se il numero delle vittime animali è di gran lunga inferiore a quello della Danimarca, massimo «produttore» mondiale di visoni (30% circa del mercato) ed esportatore, soprattutto in Cina.

Il riaffioramento delle carcasse dei visoni nel piccolo paese del nord pone evidenti problemi sia di igiene generale, sia di espansione dell’epidemia, perché non è ancora chiaro se il virus Sars-Covid-2 è scomparso dalle pellicce degli animali uccisi. In questa vicenda, gli aspetti macabri sfociano nel grottesco politico: le lacrime fasulle di Frederiksen, le ridicole dimissioni del ministro per la decisione presa dal suo capo, l’ammissione di illegalità ecc. ecc. Come è stato illustrato dalla serie televisiva Borgen, feroce ritratto della classe politica danese, in un paese di meno di 6 milioni di abitanti questi fatti possono portare anche a una crisi di governo.

Ben pochi tuttavia hanno parlato dei visoni. Questi animaletti, della famiglia dei mustelidi, sono diffusi in gran parte d’Europa e in America, ma ben pochi ormai allo stato naturale: sono per lo più «prodotti» (come se fossero inventati dall’uomo e non da madre natura) per tenere al caldo, in ogni parte del mondo, signore e signori che si possono permettere una pelliccia (si va da alcune migliaia di Euro ai 25-30.000 delle marche più note). Come in ogni altro allevamento intensivo, la loro vita è orribile, e tale è la loro uccisione, in vere e proprie camere a gas (in Italia, se ne uccidono poco meno di 200.000 ogni anno). Talvolta, riescono a fuggire o vengono liberati dagli attivisti, ma essendo cresciuti in condizioni innaturali non sono attrezzati per sopravvivere in libertà.

Raccontando questa vicenda di orrore, diversi commentatori hanno sottolineato che il loro era un discorso dettato dalla pietà, non «animalista». Ma perché non dovrebbe esserlo? I visoni, a quanto si sa, sono stati infettati dall’uomo e quindi hanno restituito, in un certo senso, il favore. Verrebbe voglia di dire che si tratta di una storia simile a quelle raccontate da Patricia Highsmith in Delitti bestiali, racconti in cui animali d’allevamento e anche di compagnia si ribellano all’uomo. Ma la questione è decisamente più ampia, e non solo perché i visoni sono solo vittime.

A Wuhan o in Danimarca, come nel resto del mondo, gli allevamenti rappresentano veri e propri serbatoi di virus. Ora sappiamo che questi sono un tipo di molecole opportuniste che si propagano per spillover, saltando cioè di specie in specie sino ad arrivare all’uomo. Finora, la responsabilità della diffusione del Sars-Covid-2 è stata attribuita ai mercati cinesi di animali selvatici – con un sottinteso implicitamente razzista. Ma bisognerebbe chiamare in causa i grandi allevamenti industriali in ogni parte del mondo e chiedersi se non siamo sulla soglia di una crisi generale nei rapporti tra noi e i mondi naturali, tra economia e biologia.

Una crisi del genere sarebbe terrificante, perché ci obbligherebbe a rivedere completamente i cicli alimentari, senza che esistano poteri in grado di intervenire in modo coordinato, e in una situazione oltretutto in cui una vasta porzione dell’umanità è sottoalimentata, e lo sarà sempre di più grazie all’attuale pandemia. Per cominciare, tuttavia, bisognerebbe almeno intervenire sulla stolta esistenza di allevamenti di animali da pelliccia. Salvando esseri come i poveri mustelidi potremmo, forse, iniziare a salvare noi stessi.