Al momento dei fatti Ali Mohammed al Nimr era ancora un liceale, appena diciassettenne, venne arrestato e poi torturato in carcere per aver partecipato nella sua Qatif (città a maggioranza scita e ricca di giacimenti petroliferi) ad una manifestazione contro il regime teocratico e violento del re saudita Abdul Aziz Al Saud.

Oggi Ali ha ventuno anni e nel settembre del 2014 un tribunale lo ha condannato a morte con decapitazione e crocifissione in piazza. Secondo i difensori di Ali una pena così pesante è solo un atto di vendetta, quello che ha pesato nel verdetto della corte è il fatto che il ragazzo è figlio di uno dei principali animatori delle proteste della primavera saudita contro la despota monarchia di Abdul Aziz.

Tra le cancellerie l’unica a prender una posizione contro la condanna ad Ali è stata la Francia con il presidente Hollande, gli altri governi per adesso tacciano (forse perché non vogliono intaccare i rapporti commerciali), ma lo scandalo di questa inquietante vicenda è che Ali sarà giustiziato nel momento in cui è stata affidata all’Arabia Saudita il compito di coordinare, in sede Onu, la Commissione dei Diritti Civili. Un controsenso assoluto, che stride ancor di più se si pensa che dall’inizio dell’anno il boia è stato chiamato a compiere il proprio lavoro più di centotrenta volte (quasi un esecuzione una ogni due giorni).

Intanto, da noi non tutto tace, varie associazioni umanitarie, che si battono per i diritti civili e contro la pena capitale, hanno aderito alla petizione internazionale per salvare la vita di Ali.

Ma significativa è anche la decisione del consiglio d’amministrazione della Fondazione che presiede il Salone del Libro di cancellare l’Arabia Saudita da Paese ospite della prossima edizione dell’importante appuntamento culturale di Torino.

La presa di posizione è stata condivisa dal sindaco Piero Fassino e dal presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino.