È l’omicidio colposo l’ipotesi di reato sulla quale indaga la procura di Modena per il caso di Salvatore Piscitelli, il 40enne morto in carcere ad Ascoli Piceno il 10 marzo scorso dopo essere stato trasferito già in condizioni critiche da Modena, in seguito a una delle rivolte che scoppiarono dietro le sbarre all’inizio della prima fase di lockdown per il coronavirus.

Al Sant’Anna di Modena – 560 detenuti su una capienza di 369 – si verificò la sommossa più violenta delle decine che scoppiarono un po’ ovunque in Italia: cominciata l’8 marzo e definitivamente domata soltanto il 15, durante la rivolta causata dallo stop ai colloqui con i familiari e dal pesante clima di incertezza di quei giorni, portò a un tentativo di fuga di massa dei carcerati (fermata solo dai furgoni della polizia penitenziaria che bloccarono materialmente ogni uscita) e a un totale di nove vittime, tutte ufficialmente per overdose dopo aver saccheggiato l’infermeria della prigione ed essersi impossessati di metadone e altre sostanze. Per il resto, l’istituto fu devastato: le celle, gli spazi comuni vennero distrutti e un’intera ala venne data alle fiamme e resa inagibile.

«Al momento il fascicolo su Piscitelli è aperto per omicidio colposo – dice il procuratore modenese Giuseppe Di Giorgio -, per ogni detenuto morto è stato aperto un fascicolo. In alcuni casi il reato ipotizzato è morte come conseguenza di altro reato. Al momento è tutto abbastanza fumoso: non ci pronunciamo ma rispetto a quanto è stato scritto negli esposti ed espresso verbalmente davanti ai pm si faranno i necessari approfondimenti».

Il riferimento di Di Giorgio è al documento prodotto da cinque detenuti, trasferiti anche loro da Modena ad Ascoli con Piscitelli, e inviato alla procura alla fine di novembre. Tra le pagine scritte di proprio pugno dai detenuti si legge una dettagliata cronaca delle rivolte di marzo e di come sono state sedate.
«Il detenuto – scrivono i cinque parlando di Piscitelli -, già brutalmente picchiato alla casa circondariale di Modena, durante la traduzione arrivò ad Ascoli in evidente stato di alterazione da farmici, tanto da non riuscire a camminare… Tutti ci chiedevamo come mai non fosse stato disposto l’immediato ricovero».

Tra i punti da chiarire c’è proprio il fatto che Piscitelli, al suo arrivo nelle Marche, non sarebbe stato sottoposto a una visita medica approfondita, come prevede la prassi e, nello specifico, sarebbe stato necessario viste le sue condizioni. Giunto ad Ascoli la sera del 9 marzo e sistemato in una cella della sezione penale, Piscitelli è morto la mattina successiva, dopo che altri detenuti avevano avvisato le guardie che non si muoveva più e che il suo corpo era freddo.

Dopo aver inviato l’esposto, i cinque da Ascoli sono stati rimandati a Modena per essere poi ascoltati dalla procura. «Siamo stati picchiati selvaggiamente dopo esserci consegnati di nostra spontanea volontà agli agenti, senza aver opposto alcuna resistenza – hanno raccontato -. Siamo stati oggetto di minacce, sputi, insulti e manganellate. Un vero pestaggio di massa».

E questo sarebbe avvenuto non solo a Modena, ma anche ad Ascoli: «Nello specifico nei furgoni della penitenziaria, alla presenza degli agenti locali. Quando siamo stati visitati a molti di noi non fu neanche chiesto di togliersi gli indumenti per constatare se avessimo lesioni corporee».

Il garante nazionale per i detenuti, Mauro Palma, sta seguendo il caso in qualità di «persona offesa» e ha provveduto a nominare l’avvocato Giampaolo Ronsisvalle e il medico legale Cristina Cattaneo per seguire ancora più da vicino le indagini. «Istituzionalmente – dice Palma – abbiamo il dovere di diradare ogni nebbia. Vogliamo sapere se tutti i detenuti trasferiti da Modena sono stati visitati adeguatamente. Vogliamo conoscere chi, dal punto di vista sanitario, ha autorizzato i trasferimenti e se una volta arrivati nelle altre carceri i detenuti sono stati seguiti adeguatamente».