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Salvatore Piscicelli, regista di classe

Salvatore Piscicelli, regista di classeMarcello Colasurdo in «La canzone di Zeza», foto di Carla Apuzzo

1948-2024, ricordo Un importante lavoro documentaristico affianca i suoi film più conosciuti: una filmografia anticonvenzionale, preziosa

Pubblicato circa 2 mesi faEdizione del 3 agosto 2024

«Io sono nato in provincia di Napoli, ho studiato a Napoli e ho vissuto a Napoli fino ai 20 anni e sono profondamente legato alla cultura napoletana, cultura nel senso più profondo e antropologico del termine. Quando ho cominciato a fare cinema sono partito dal presupposto che uno deve cominciare a raccontare le cose che conosce meglio. Quando ho girato Immacolata e Concetta l’ho girato nei luoghi della mia infanzia. Con i tre film successivi mi sono avvicinato sempre più al cuore della città. Napoli è la città più filmabile di questo paese, il rischio con Napoli è lo stereotipo. Se uno riesce ad andare oltre, la città resta il più straordinario scenario di cinema che si possa immaginare in questo paese».

È l’assioma imprescindibile su cui si erge il cinema di Salvatore Piscicelli (Pomigliano d’Arco, 4 gennaio 1948 – Roma, 21 luglio 2024), dove la raffigurazione, la percezione e il rapporto anche conflittuale con Napoli e l’Hinterland sono sempre intensi, passionali e per nulla oleografici fin dai primordi. Tutto ciò si evince nel frammento dell’intervista succitata rilasciata nell’’87 in occasione dell’uscita di Regina custodita nel ‘Fondo Canale’.

Studioso, sceneggiatore e regista dal ’69 al ’78 si occupa di critica cinematografica pubblicando sul quotidiano Avanti! e sulla rivista Cinemasessanta; inoltre, collabora con la ‘Mostra Internazionale del Nuovo Cinema’ di Pesaro curando saggi e volumi di documentazione fino a divenire segretario generale. Studi e ricerche sono ripresi sia nel volume La magnifica ossessione. Il cinema di Salvatore Piscicelli, pubblicato quest’anno dalla Martin Eden Edizioni e curato da Alberto Castellano, sia in Salvatore Piscicelli L’imitazione della vita. Scritti di cinema 1970-2016 curato da Gino Frezza per Meltemi nel 2018. Entrambi i titoli fanno riferimento a importanti film del regista tedesco Douglas Sirk, molto amato da Piscicelli, e raccolgono recensioni, saggi, analisi, riflessioni su figure come Charlie Chaplin, Roberto Rossellini, sulla relazione tra cinema e ideologia, su tematiche come cinema e psicoanalisi, sul cinema cinese, sugli autori della ‘Nouvelle Vague’, sulla metodologia storiografica del cinema. Dopo aver diretto alcuni documentari, nel ’79 realizza il primo film, Immacolata e ConcettaL’altra gelosia, tratto da un fatto di cronaca avvenuto nella sua città e scritto con Carla Apuzzo, compagna nella vita e nel lavoro; film con cui vince premi come il Pardo d’Argento al Locarno Film Festival. Da questo sodalizio nascono anche le successive sceneggiature: Le occasioni di Rosa (’81) – magnifica e indimenticabile la passeggiata/défilé di Marina Suma sullo sfondo delle Vele di Scampia -, Blues metropolitano (’85), Regina (’87), Baby Gang (’92), Il corpo dell’anima (’99).

Salvatore Piscicelli

Immacolata e Concetta, Le occasioni di Rosa, Blues metropolitano costituiscono la cosiddetta «trilogia napoletana» che tratteggia la «mutazione antropologica» di un’intera generazione ed è superiore a qualunque indagine socio-antropologica. Una perenne metamorfosi sospesa tra l’aspetto rurale e il contesto industriale, con le nuove dinamiche urbane che contrassegneranno per sempre la metropoli e la periferia all’indomani del terremoto dell’’80. Presupposto che fa di Piscicelli, con lo sguardo per nulla stereotipato, un antropologo e documentarista che nel ’76 insieme a Giampiero Tartagni inaugura la filmografia con La canzone di Zeza, una rappresentazione popolare che si svolge durante il Carnevale nei centri rurali della Campania. Il film documenta un rito di passaggio della civiltà contadina in cui anche i ruoli femminili sono interpretati da uomini travestiti da donne.

La canzone di Zeza, presente oggi soprattutto nelle zone rurali coi suoi rituali, ha una funzione eversiva e liberatoria sia a livello collettivo sia individuale: a livello collettivo manifesta in diverse forme un disagio socio-economico, a livello individuale evidenzia problematiche psicologiche quasi sempre inconsce. Una peculiarità doppia che colloca il Carnevale tra le feste definite riti di passaggio da un ciclo all’altro dell’anno, le più usuali della cultura popolare che portano con sé svariati significanti. Il rituale, registrato alla Masseria Visone a Pomigliano d’Arco e messo in scena dal ‘Gruppo Operaio ’e Zezi’ e interamente cantato e danzato, termina col canto collettivo di Bandiera rossa. Seguirà Carnevale popolare a Pomigliano d’Arco (’77) che registra un peculiare Carnevale degli anni Settanta dedicato alle lotte degli operai, degli studenti e dei disoccupati. Il rifiuto del lavoro e Tonino del Cavone (’77), documentari purtroppo andati persi, grazie alle testimonianze di due militanti focalizzano l’attenzione sul movimento di lotta dei disoccupati organizzati.

Marcello (’78), La canzone di Marcello (2006) sono due lavori incentrati sulla figura di Marcello Colasurdo, artista e cantante popolare che nel ’75 è tra i fondatori del ‘Gruppo Operaio ’e Zezi’, che tende a rivalorizzare la tradizione musicale orale contadina in una lettura con chiara coscienza politica e sociale. Piscicelli, quindi, lavora – nella prospettiva di Roberto De Simone, Annabella Rossi, Annibale Ruccello – al recupero e tutela della tradizione popolare orale quale rivendicazione di un’inalienabile identità storico-culturale di origine rurale in antitesi al regime capitalistico presente sul territorio con le industrie (Alfa Romeo, Alfasud, Alenia) e quale espediente usato come dispositivo di lotta socio-politica. Tale lavoro di documentazione si traduce in linguaggio filmico che permea l’intera filmografia intrisa da un’atmosfera algida che ricorda la spietatezza di Rainer W. Fassbinder, la Napoli di Werner Schroeter e il Lumpenproletariat di Pasolini.

Piscicelli frantuma col suo stile e il suo linguaggio sperimentale l’immagine olografica di Napoli e mette in primo piano dannati, omossessuali, tossicodipendenti e prostitute; figure poco avvezze ai princìpi del dominante pensiero benpensante e omologante. Tutto ciò accade mentre nella metropoli è in atto una brutale metamorfosi. Tra le altre opere si menzionano Quartetto (2001), girato secondo le regole del manifesto ‘Dogme 95’ (elaborato da Lars von Trier e Thomas Vinterberg), che vede protagoniste quattro donne in cerca di emozioni attraverso sesso e droga, e che esprime con forza la disgregazione di una generazione alla deriva; Alla fine della notte (2003); La comune di Bagnaia – Un frammento di utopia (2005), documentario realizzato con Carla Apuzzo e Huub Nijhuis su un’esperienza di vita alle porte di Siena e ispirata ai princìpi del comunismo libertario; Vita segreta di Maria Capasso (2019).

Salvatore Piscicelli, niente affatto incline a compromessi e logiche castranti dei diktat delle strategie di mercato, lascia un’autorevole lezione di cinema anticonvenzionale per originalità stilistica e spessore intellettuale ma, ahimé, troppo audace per il mediocre e sovrastimato (salvo eccezioni) scenario cinematografico italiano.

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