Chi si fosse trovato in Cile all’inizio degli anni ’90 (io c’ero) avrebbe scoperto dai primi articoli che uscivano sulla stampa l’esistenza della Colonia Dignidad, le foto del cancello d’ingresso tanto simile ai campi di sterminio, le cronache di ciò che succedeva all’interno, un autentico retaggio del nazismo in sintonia con la dittatura di Pinochet. E i documenti relativi al villaggio di Paul Schäfer (Michael Nyqvist), un genio del male, il nazista aguzzino che ospitava anche Mengele nella comune tedesca fondata nel ’61 e che metteva in atto tecniche di schiavismo e collaborava attivamente con la dittatura sono stati desecretati solo da pochi giorni dal governo tedesco, alla fine di aprile. E di nazisti il paese ne aveva accolti parecchi anche fuori dalla Colonia.

La scoperta fece scalpore, a leggere sulla stampa quegli articoli che riportavano bruscamente indietro nel tempo, subito dopo la cacciata del dittatore in un paese che cercava di ritrovare la democrazia e dimenticare il passato. Sarà per questo che vedere come si svolgono i fatti nel film di Galleberger appare piuttosto futile nel suo insieme, una sorta di «salvate il soldato Ryan» senza senso, come se già nel ’73 tutti fossero a conoscenza di quel luogo dove venivano internati alcuni prigionieri, luogo indicato precisamente dai compagni, che però non possono fare nulla per salvare uno di loro. Ma ci penserà la sua ragazza a prendere l’iniziativa.

https://youtu.be/zOymuUHVI7s

Utilizzando la miscela di thriller, film con vaghi accenni politici e, dall’inizio alla fine, la love story ecco confezionato il romanzone con qualche punta di sadismo. Il fotografo tedesco Hans (Daniel Brühl) da qualche mese in Cile, come tanti intellettuali europei venuti a vedere da vicino e partecipare alla rivoluzione di Allende, è arrestato subito il giorno stesso del colpo colpo di stato individuato come colui che ha disegnato il poster di Unidad Popular, torturato e spedito alla Colonia, un vero e proprio campo di concentramento e la sua ragazza (Emma Watson), una hostess della Lufthansa che viene liberata poco dopo si veste più o meno da suora e lo va a cercare.

Il lungo periodo di elaborazione del cinema cileno evidentemente non ha insegnato niente, a cominciare da La frontera o Amnesia per arrivare alle potenti opere di Pablo Larrain, un lavoro quanto mai potente e allusivo. Già il tedesco Orlando Lübbert realizzò un documentario per la televisione sulla Colonia mettendo in evidenza gli abusi sui prigionieri: in effetti il film non riguarda tanto il Cile quanto i tedeschi emigrati, le connivenze dell’ambasciata, il ruolo dei nazisti nell’enclave tedesca, dove si indossano costumi tradizionali quando viene in visita qualche militare per chiedere di costruire armi e fabbricare gas asfissiante (da provare prima). Né era difficile incontrarne andando su per le Ande, in baite isolate, calzoni corti di pelle con la pettorina e cani lupo ai lati.

Sarà un regista cileno ad affrontare nuovamente l’argomento, Matias Rojas Valencia che ha in lavorazione A la sombra de los arboles, storia di bambini cileni tolti alle loro madri e abusati da Schäfer.