Internazionale

Salvare la sanità in Ucraina, dalla guerra e dal neoliberismo

Un’infermiera nel reparto di terapia intensiva del Mechnikov Hospital di Dnipro foto ApUn’infermiera nel reparto di terapia intensiva del Mechnikov Hospital di Dnipro – Ap/Evgeniy Maloletka

Salute Prima la riforma voluta dal Fmi, poi le bombe russe: il numero di ospedali continua a ridursi. E cresce la protesta del movimento indipendente di medici e infermieri «Sii come Nina». Al manifesto la racconta la sua leader, Oksana Slobodiana.

Pubblicato circa un anno faEdizione del 13 agosto 2023

«Non volevo che la guerra scegliesse per me», dice Oksana Slobodiana. All’inizio dell’invasione russa ha messo in salvo oltre frontiera i figli e la madre anziana e poi fatto subito ritorno a Lviv, nell’Ucraina occidentale, per riprendere servizio come infermiera.

SLOBODIANA è a capo del movimento di medici e infermieri «Bud yak Nina» (Sii come Nina), nato a novembre 2019 a seguito di un post sui social divenuto virale: l’autrice di nome Nina denunciava le condizioni di chi lavora negli ospedali.

Spiega: «Il personale medico è povero, i salari sono bassi. Con la guerra è diventato molto più difficile avere accesso ai medicinali e i fondi per consentire alle persone di continuare le cure sono scarsi». Secondo l’Oms al 30 maggio 2023 in Ucraina si è raggiunto il più alto numero di attacchi al sistema sanitario mai registrato in un’emergenza umanitaria: 896 diretti verso strutture, per 101 morti tra medici e pazienti.

A luglio 2022 il ministro della Salute ucraino, Viktor Liashko, faceva sapere che solo il 0,5% del personale medico aveva lasciato il paese. Tuttavia, già prima dello scoppio del conflitto, la situazione della salute pubblica era lungi dall’essere perfetta: la percentuale dedicata rispetto al totale del Pil era del 3,7%, sotto la media della zona europea, con il tasso di spesa privata fortemente in crescita (51% nel 2018 rispetto al 39,1% del 2006).

La guerra ha colto l’Ucraina nel mezzo di una transizione tra il sistema sanitario ereditato dall’Unione sovietica e un nuovo tipo di organizzazione di stampo neoliberale, concordata dopo Maidan assieme al Fondo monetario internazionale e avviato nel 2018.

«UN CAMBIAMENTO era necessario, ma prima ancora che la riforma venisse attuata avevamo capito che avrebbe comportato la chiusura di molti ospedali», prosegue Slobodiana. Realtà come «Sii come Nina» contestano gli effetti di un cambiamento basato su decentralizzazione e ottimizzazione del sistema, ovvero sulla competizione tra ospedali e medici di famiglia ora finanziati e stipendiati in base al numero di prestazioni effettuate.

Al numero di edifici distrutti dai bombardamenti (184 a fine giugno, secondo il ministero), si sommano quelli che non hanno saputo reggere alla concorrenza. «La riforma andava sospesa: c’è stata la pandemia, poi la guerra. Siamo passati da un sistema centralizzato a uno delocalizzato, in cui il potere è dei sindaci o dei governatori. Servono una strategia e obiettivi di natura pubblica, e non la mera sottomissione agli interessi del mercato». Slobodiana aggiunge: «Rischiamo di perdere tutto. Negli anni ’90 abbiamo perso le nostre fabbriche, sono finite in mano agli oligarchi. La stessa cosa rischia di succedere ai nostri ospedali».

L’ORGANIZZAZIONE fondata da Slobodiana ha ottenuto a maggio 2021 che il presidente Zelensky aumentasse il salario degli infermieri. Lo scorso 27 luglio, giornata nazionale del medico, un’altra protesta organizzata dal gruppo si è tenuta al ministero della Salute, sfidando il divieto di raduni imposto dalla legge marziale. La delegazione, che portava una lettera firmata da rappresentanti di un centinaio di ospedali del paese, non è stata ricevuta. Anche a Kryvyj Rih decine di medici hanno lamentato il mancato pagamento degli stipendi.

Dice Slobodiana: «Lottare per i propri diritti durante la guerra è difficile ma abbiamo sviluppato metodi creativi, anche per consentire una partecipazione ampia in tutto il paese. Sosteniamo il governo e la difesa dall’invasione, ma i problemi che denunciamo sono urgenti».

Lo sforzo principale è creare un movimento capillare sull’intero territorio nazionale: «Stiamo lavorando affinché nascano sindacati indipendenti nelle strutture mediche di ogni città, in grado di operare come nodi di una rete. Ciascuno col proprio budget e la propria autonomia, ma aderenti a uno statuto condiviso».

LE CONDIZIONI perché il movimento si allarghi e si radichi sembrano esserci: oltre alla recenti proteste, il post del 2109, a cui il sindacato deve il nome, portò alla creazione di un gruppo a cui nel giro di una settimana avevano aderito 50mila medici. «Sii come Nina» sta attirando sempre più attenzione da parte dei notiziari ucraini e della stampa internazionale e, racconta la stessa Slobodiana, «è sostenuta dalla società civile e dalle formazioni di sinistra. Gruppi informali, movimenti sociali, anarchici, ma anche persone comuni».

È questo che distanzia l’organizzazione dai grandi sindacati governativi, «sindacati gialli con un budget che non si sa come viene speso e che non aiutano nessuno». Conclude: «Il nostro obiettivo è far conoscere agli operatori sanitari i loro diritti, proteggere la classe lavoratrice e la cittadinanza tutta».

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