Non c’è dubbio che l’epidemia di Coranavirus (CoViD19) imponga l’esigenza di «ripensare l’intero nostro universo di senso» – come ha scritto Marco Revelli l’11 marzo in un articolo denso di riflessioni – e che sia necessario un «cambiamento, radicale, di sguardo, linguaggio, categorie e progetto». Credo serva un nuovo sguardo anche su alcune considerazioni che Revelli propone a proposito del dilemma etico di una sanità che sarebbe chiamata dall’emergenza a scegliere chi curare perché le risorse disponibili sono scarse.

È vero in Italia, da molti anni, le risorse assegnate al sistema sanitario pubblico sono insufficienti, lo sono in termini assoluti in Italia con una delle spese sanitarie pubbliche più basse in Europa e lo sono sempre più in termini relativi a fronte di una popolazione che invecchia e a fronte di uno sviluppo tecnologico che incrementa costantemente l’armamentario terapeutico e i suoi costi.

È vero, lo dicono i numeri che descrivono anche un sistema salute nel quale crescono le disuguaglianze e nel quale orientare la spesa verso i bisogni è reso sempre più difficile da una logica e da un senso comune commerciale, economicista, neoliberista.

Ma forse la cosa va pensata in modo diverso: problemi etici, sono indipendenti da qualsivoglia carenza e non sono risolti dall’abbondanza, non nascono dal mercato ma, al contrario, dalle politiche di welfare e dal tentativo di costruire un sistema universalista. In un sistema di mercato, un sistema di individui e di compratori «informati», chi ha le competenze e le risorse si procura i servizi, chi ne è sprovvisto aspetta il suo turno e l’eventuale beneficienza. In un sistema universalista, e quindi in un sistema di diritti, si crea invece, immediatamente una tensione tra il diritto del singolo alla cura e il diritto della comunità alla tutela.

Qualunque sia l’ammontare di risorse disponibili, se non si commisura il trattamento alla sua efficacia e se non ci si pone costantemente il problema di quel portatore di bisogno che non è ancora arrivato ma che potrebbe arrivare, talvolta proprio in ragione di quello che facciamo (o che non facciamo), si genera disuguaglianza e la disuguaglianza gioca generalmente a favore di chi più ha e più sa. In ogni momento infatti, a prescindere dalle loro dimensioni, le risorse a disposizione sono finite e, in ogni momento, verranno ripartite secondo criteri, impliciti o espliciti, che soddisferanno in modo differenziato bisogni diversi.

Rendere espliciti questi criteri ne consente la valutazione e consente di esprimere un giudizio sul loro valore. Il diritto individuale può dunque entrare in conflitto con quello della comunità ed è un conflitto che si apre anche sulle cose più semplici e più facilmente disponibili come una visita oculistica o un accertamento radiologico e bisogna decidere se sia opportuno privilegiare o promuovere criteri che proteggano l’uguaglianza nel diritto alla salute.

Criteri che operino tutti i giorni perché ogni giorno, e non solo quando arriva l’epidemia di CoViD19, questa uguaglianza viene messa in discussione. In termini elementari: non è il neoliberismo a porci il problema della selezione poiché accetta la disuguaglianza all’interno della sua sfera etica e non è l’abbondanza a risolverlo, perché il problema si ripropone a qualsiasi livello di disponibilità delle risorse.

Il dilemma è invece totalmente interno all’aspirazione, non raramente conflittuale, di conciliare l’interesse del singolo con quello della collettività. In questo contesto se con i provvedimenti che mirano a contenere l’epidemia «… siamo regrediti, d’un balzo, – come scrive Revelli – a un grado zero …. della relazionalità. E anche, vogliamo dirlo? Della civiltà» e se «la politica si rivela come bio-politica. E più che le regole umanizzate della Polis valgono quelle elementari della sopravvivenza, del Bios», non siamo in realtà di fronte ad una situazione straordinaria, se non da un punto di vista quantitativo e assistiamo invece a una ennesima manifestazione della tensione forse irrisolvibile tra protezione e controllo, una tensione che accompagna la sanità pubblica dalla sua nascita.

* Medico sanità pubblica