Nel 2005 a Salvador, la capitale dello stato di Bahia, nel Nordest del Brasile, ha iniziato la sua attività l’Icbie, «Istituto culturale Brasile Italia Europa» fondato da Pietro Gallina. Il suo primo obiettivo non è fare pubblicità all’Italia, ma offrire ai giovani del posto gli strumenti culturali per uscire da una condizione di ignoranza e di povertà fisica e spirituale. I fondi per acquistare il grande edificio dove ha sede l’Icbie vengono dalla vendita di molti quadri di Michele Stinelli Lombardi, in arte Ele D’Artagnan, grande artista non profeta in patria. A Pietro Gallina la parola per raccontare quella che pare una favola.
Come è nata l’Icbie?
Ele D’Artagnan è il nome d’arte di un attore che è stato amico di Federico Fellini, con lui ha fatto la comparsa in cinque film, vissuto e morto sulla strada. Negli ultimi anni della sua vita è diventato pittore e morendo ha lasciato a me i suoi quadri che sono stati venduti a New York e in altre parti del mondo fruttando circa 300 mila dollari. Cinque ne ha comprati il Moma e hanno avuto tanto successo che sia il New Yorker Magazine che il New York Times gli hanno dedicato delle recensioni abbastanza trionfali. Io avevo già deciso di andarmene a vivere in Brasile, vista la situazione politica in Italia con un governo Berlusconi che uccideva la scuola.
Professore in un liceo classico, insegnavo musica e teatro come materie alternative all’ora di religione, e ho passato 15-16 anni della mia vita diciamo così non precario ma sub-precario, nel senso che se avessi continuato a stare nella scuola con questo contratto rinnovato di anno in anno, dopo 40 anni avrei preso sempre lo stesso stipendio e sarei rimasto un sub-precario senza nessun diritto. I soldi arrivati con la vendita di quei quadri mi hanno dato una spinta ulteriore a muovermi da Roma.
Che diritti avevi su quei quadri?
Me li ha lasciati D’Artagnan con una lettera che diceva «potrai avere la proprietà di questi quadri solo se scriverai la mia storia e farai una mostra ma non in Italia che mi ha distrutto la vita», pigliandosela con la Dc, il Psi, il Pci… cita tutti i partiti del tempo. È morto nel 1987. Dopo mostre a New York, Chicago, Miami, Amsterdam, Parigi, Francoforte ora D’Artagnan può tornare a esporre in Italia da «vincitore». Proprio in questi giorni stiamo aspettando la risposta dal Comune di Palermo al quale abbiamo presentato un progetto. Mi ha lasciato circa 200 quadri bellissimi e altri 400 medi, a Francoforte ne abbiamo esposti una sessantina, sono tutti piccoli, ci pagava spesso i conti nelle trattorie romane.
Torniamo all’Icbie…
Io non avevo mai avuto così tanti soldi, e quando con mia moglie siamo arrivati in Brasile – mia moglie è brasiliana – mi sono detto questi soldi sono di D’Artagnan, che ci avrebbe fatto?
Vicino alla stazione Trastevere, dove ora tra l’altro c’è il manifesto, all’epoca era come una piccola favela e D’Artagnan ha vissuto a lungo là in una baracca. C’erano dei ragazzini, ci sono foto con lui che gioca con loro, gli insegna cose…e allora ho pensato di fare in Brasile, a Salvador de Bahia, la stessa cosa che lui faceva nella piccola favela romana. Ho trovato questo grande palazzo, costato pochissimo, e abbiamo deciso di fondare questo Istituto e iniziare questa avventura meravigliosa. É stato fondato da me, con l’aiuto di mia moglie Marlene Rosa de Souza, di altri di Roma, del poeta brasiliano Cacau Novaes, e di Roy Zimmerman, un professore di musica di Detroit che ha vissuto e insegnato tantissimi anni a Roma e che ora si è trasferito a Bahia a darci una mano. Con Roy abbiamo poi fondato l’Icbie di Roma, che ora sta lavorando tra l’altro nello stabile occupato da un centinaio di famiglie di varie nazionalità in via di Santa Croce in Gerusalemme. Una sezione aiuta i ragazzi nella scuola popolare, sono tutti figli di immigrati, diamo assistenza ai bambini su quello che studiano a scuola ma teniamo anche corsi di danza, musica, teatro, tutti gratuiti. Nel 2016 abbiamo ricevuto in Campidoglio il Premio Simpatia, dato ogni anno a personaggi di vario tipo, attori, sportivi, vigili urbani…
Speriamo di ricevere qualcosa dal 5×1000 da chi ci conosce e ci vuole bene, siamo iscritti come Icbie Italia onlus c.f. 97543510586.
Cosa offre l’Icbie di Salvador?
Abbiamo avuto subito abbastanza successo, ne hanno parlato i giornali, le televisioni, in Brasile ci tengono molto alla cultura. Facciamo lezioni di lingue, italiano e inglese soprattutto, poi corsi di spagnolo, francese o altre lingue quando viene a trovarci qualche volontario di lingua madre. Sono lezioni per ragazzi da 12-13 anni in su, adulti e anziani, ma la maggioranza sono ventenni, universitari. Abbiamo corsi di teatro, di capoeira, remo e per un certo periodo anche di hapkido, gruppi musicali, corsi di chitarra, cantanti, c’è una biblioteca internazionale con libri di musica, teatro, letteratura europea e portoghese-brasiliana, facciamo presentazioni di libri, esposizioni di fotografie, quadri, e tante altre attività che sarebbe lungo farne un elenco.
Avete appoggi dalle istituzioni?
In questi 13 anni abbiamo avuto un vero aiuto economico dal Comune per un paio di anni nel 2008/09, quando abbiamo organizzato il primo festival internazionale di graffiti facendo venire graffitari da tutto il mondo. Poi ci hanno aiutato con la biblioteca perché per tenerla aperta c’è bisogno di qualcuno che stia lì e quindi per un anno hanno pagato due persone, ma quando è cambiato il sindaco si è bloccato tutto. Adesso da qualche anno c’è un governatore molto bravo, Rui Costa, petista, del Partito dei lavoratori, riceviamo una sovvenzione e siamo classificati «Punto di Cultura della città bassa». Stiamo nella penisola Itapagipana, luogo storico perché lì c’è il centro religioso più importante del Brasile, una sorta di Vaticano brasiliano dove arrivano da tutto il paese per prendere i famosi nastrini da mettersi sul braccio. Nosso Senhor do Bonfim è una chiesa cattolica, ma ha anche a che fare col candomblé perché anche i neri, gli schiavi del famoso libro di Gilberto Freyre (Padroni e schiavi. La formazione della famiglia brasiliana in regime di economia patriarcale) ritengono quel luogo sacro e venerano i santi identificandoli con i loro dei africani, gli Orixás del candomblé.
L’Icbie sta molto vicino a quella chiesa, nella parte finale della penisola Itapagipe che si chiama Ribeira, un luogo meraviglioso circondato dal mare, uno dei posti più antichi di Salvador. Quando vennero all’inaugurazione dell’Icbie molti giornalisti mi chiesero «ma perché fare un centro culturale in questo posto che é un posto povero?». Gli altri centri culturali stanno tutti al centro, nella stessa via grande e lunghissima, il Corredor de Victoria. Là ci sta il Goethe Institut, il Cervantes spagnolo, quello statunitense, quello inglese, l’Alliance Française. Noi stiamo più vicini alla periferia. Dall’altra parte della penisola c’è quella che si chiama periferia bassa dove un brutto treno che pare per trasporto animali carica tutti i poveracci che vanno a lavorare al centro. Sono tutti più o meno neri.
Il centro storico di Bahia corrisponde a Campo Grande dove c’è il teatro e si fanno i grandi concerti, poi ci sono vari quartieri come Barra che continua una certa ricchezza antica ma anche con insediamenti moderni e grandi grattacieli. Poi si arriva a Rio Vermeilho altro quartiere sul mare, radical chic non di sinistra, della classe dominante, ricca, tutti universitari bianchi, là ogni cosa costa parecchio. Salvador è immensa, ha 3 milioni di abitanti ufficialmente. Nella parte nostra non ci sono teatri, non c’è niente, zero cultura. A quei giornalisti dissi la risposta è nella vostra domanda, lo facciamo qui proprio perché non c’è niente. E poi noi non siamo governativi, ci hanno sempre scambiato per essere emanazione del ministero italiano degli esteri, e quando lo capiscono arriva subito la domanda «e allora chi vi paga?». E qual’è la risposta?
Spiego la faccenda dei quadri, il fatto che la proprietà della casa è nostra, e come funziona l’Icbie. Si paga una tassa d’iscrizione pari a 10 euro. Per alcuni corsi si contribuisce per il materiale che compriamo, copiatrici, libri, colori, Il corso d’inglese che è quello più richiesto costa 20 euro al mese per 2/3 lezioni a settimana. Il Comune ci paga il telefono, la luce, le pulizie, ci toglie un po’ di peso, ma non sarà per sempre, questo è l’ultimo dei 3 anni. Per le lezioni di italiano si pagano 15 euro, per altre lingue si segnano in pochissimi, il teatro è gratis come la capoeira, per la musica bisogna pagare un maestro (20 euro al mese), abbiamo un pianoforte che però ora non funziona e quindi l’insegnamento del canto corale è stato accantonato, ma abbiamo cantanti che studiano con l’accompagnamento di un chitarrista che dà anche lezioni di chitarra, è brasiliano e vuole essere pagato.
Questi sono i costi, ma se uno viene e dice che non ha soldi noi non diciamo più come una volta ok puoi entrare, perché lo si mette in una situazione imbarazzante, si sente inferiore, sono molto sensibili in fatto di autostima. Quindi abbiamo creato delle borse di studio, diamo 2-3 posti gratis in cambio di piccoli favori – che poi sono solo una scusa per la borsa – come rispondere al telefono due ore a settimana, o mettere a posto i libri in biblioteca. Ci finanziamo anche con una specie di pensione dove ospitiamo i volontari che vengono che so dalla Germania, dagli Stati Uniti, dalla Francia, dall’Italia soprattutto e sono ospitati a metà del prezzo normale perché faranno per noi 15 ore a settimana di lezioni e stanno nella comunità, perché il bello è che l’Icbie è una comunità e si imparano veramente le lingue, perché se c’è l’inglese poi ci esci insieme, se c’è l’italiano ci esci, non è che si ferma la scuola e poi addio, si creano anche delle belle sintonie che aiutano molti studenti a parlare bene le lingue studiate. La maggioranza degli studenti sono ragazze, nere, mulatte, è una zona così, i bianchi stanno più al centro, dove spicca il bairro Pituba dove vivono fortificati. Itaigara e Pituba sono due quartieri con torri di controllo, mura, reti anti assalti, gurdie armate, c’è una grande attività economica basata sull’industria della difesa, sulla paura, che rende molti milioni e dà anche molto lavoro ai difensori della proprietà privata.
Qual’è l’estrazione sociale di quelli che vengono all’Icbie?
In genere sono poveri, non dico di favela perché il concetto di favela a Salvador è molto diverso da quello di Rio o di San Paolo, dove le favelas sono zone ben delimitate. Salvador è fatta in modo tale che la strada principale dove c’è il maggior flusso di traffico è quella che ha il maggior numero di case accettabili, poi man mano che ci si allontana da questa arteria tutto diventa sempre più povero, molte strade hanno buche peggio di Roma e altre sono sterrate. All’Icbie si iscrive in genere gente di queste periferie, gente abbastanza disperata, povera, vulnerabile alla droga, ma anche ragazzi di famiglia media. Con il governo di Lula e Dilma c’è stato un notevole miglioramento, molti si sono indebitati, hanno comprato automobili, si sono dati da fare per lavorare perché avendo una macchina si caricano birre o altro e si vende, quindi c’è stato un miglioramento delle condizioni nella nostra zona anche se la droga ancora impera.
Che tipo di droghe?
Crack oppure erba, qui chiamata la maconha. La cocaina è per la classe alta. Il crack spezza la testa, è allucinante, è mortale, si riconoscono subito per le strade quelli fatti di crack, stanno lì mezzo impazziti.
C’è una mensa all’Icbie?
C’è una grande cucina dove si fanno piatti brasiliani e a volte cucina italiana. Se facciamo per esempio pasta all’amatriciana diciamo ai ragazzi che se la vogliono mangiare devono impararne esattamente la ricetta, in italiano, così quel pranzo diventa anche una lezione di italiano. Poi è chiaro che non «bocciamo» nessuno e mangiano tutti.
Da quanto tempo frequenti il Brasile?
La prima volta fu nel 1989, poi ho comprato la casa tra il 2002/2003 e ho traslocato per viverci a partire dal 7 dicembre 2003. Sono arrivato con Lula eletto da poco e poi al governo è andata Dilma. Negli ultimi 2 anni è cambiato tutto. La situazione politica del Brasile ricorda l’epoca pre rivoluzione francese. Ci sono ancora i nobili, i servi della gleba, gli schiavi. È strutturata così ancora oggi, non c’è paese al mondo dove la schiavitù è talmente modernizzata, grande tecnologia, grande ricchezza per pochi, il 5% della popolazione ha tutto, il 95% viene schiavizzato, a scalare dal portaborse al caporale, al semplice lavoratore, in tutti i modi possibili, con questo intendo contratti di lavoro inesistenti, nessuna garanzia, altro che job act. Quando siamo arrivati dovevamo dare sempre qualcosa ai famosi «meninos de rua» che si mettevano al cancello, anche quando pioveva – oddio non è che faccia mai freddo però affamati, nudi e con la pioggettina.. – facevano la fila per avere un po’ da mangiare, di notte davamo loro anche coperte.
Con il governo Lula sono spariti. Hanno creato una sovvenzione per le famiglie che non avevano redditi, ma solo se potevano dimostrare con un certificato che i figli andavano a scuola. Una specie di reddito di cittadinanza, del valore di un terzo del salario di un lavoratore. E questo assicurava riso, pane, la sussitenza e i figli a scuola. È stato un progresso che ha levato i ragazzini dalla strada, tutti stavano a scuola. Negli strati più bassi della popolazione molte famiglie non parlano nemmeno bene il portoghese, sono al di fuori di tutto, ma quando c’è stato questo incentivo improvvisamente i «meninos de rua» sono spariti e non li abbiamo avuti più. Questo è stato il primo grande passo di Lula, poi c’è stato il progetto «Fome Zero» che ha avuto anch’esso un grande successo, e poi il credito ai poveracci, cioé le banche – che ci hanno guadagnato e ci guadagnano ancora un sacco – hanno dato soldi per comprarsi la macchina a tutti, magari come da noi negli anni 60 con le cambiali, 100, 500 cambiali, ma tutti hanno cominciato ad avere la macchina e l’industria a ripreso a girare. C’e stata veramente una rivoluzione totale con Lula e questa storia però non è andata bene.
Qui c’è ancora la nobiltà come nella Francia prerivoluzione, e per costoro chi non appartiene alla élite dei ricchi è una scimmia, una bestia, li definiscono così, siccome non hanno studiato, non hanno cultura e sono poveri devono continuare a fare gli schiavi. «Come può essere che adesso con Lula a un figlio di queste bestie sia permesso di andare all’università e poi concorrere per un posto di ingegnere con mio figlio che ho mandato ad Harvard… non è possibile, bisogna schiacciarli». Con Lula e con Dilma questa massa di poveri stavano diventando troppo competitivi, arrivavano in posizioni che erano state sempre appannaggio della classe «nobile», in ospedali, tribunali, nell’amministrazione, per loro era una peste, fumo negli occhi, e hanno fatto il golpe, anche per questo.
Hai mai assistito a una cerimonia Candomble’
Ci vado spesso, è bellissimo, sono aperte a tutti se non rompi i coglioni. Ti siedi come in chiesa su dei banchetti, sotto c’è uno slargo infiorato, il «terreiro», dove si danza in circolo lentamente e poi avvengono certe cose, qualcuno va in trance, posseduto da un Orixà, altri lo sostengono, lo assistono, è molto bello a vedersi ma è trascinante il ritmo, la musica, ci sono sempre i tamburi, e le cantilene: per esempio con Yemaja, quando si canta che lei sta amando una persona, è accompagnata da un ritmo particolare legato a quel tipo di azione/sentimento e al testo che stanno recitando, è qualcosa di vitale, grandioso e ti scuote.
Salvador è la città più nera del Brasile ed era anche la più cattolica, è stata la prima ad essere conquistata dai portoghesi. C’è stato un periodo in cui il 90% della popolazione si diceva cattolica, ma questo non significava che fossero cattolici, vivevano il sincretismo, era vietato pregare i loro dei, gli Orixàs, e allora San Giorgio diventa Oxossi, il dio della caccia, Yemajà, la dea del mare, diviene la Madonna.
Soprattutto dopo la guerra è iniziato un flusso di evangelici, una infinità, che non devono pagare le tasse con la loro chiesa e così si sono formate piccole corporazioni con il potere di piccole mafie. Il gruppo degli evangelici conta ora il 5% della popolazione di Salvador, a loro si aggiungono altre percentuali di luterani, pentacostali, quelli del Settimo Giorno, sono una infinità, vengono tutti dagli Stati Uniti, sono quasi tutti bianchi, vanno nelle favelas in camicia bianca, creano un gruppo e si fanno pagare il «dízimo», la decima.
Queste sette hanno un potere politico e economico, tutti insieme fanno massa, nominano un candidato in parlamento e lo votano tutti gli aderenti alle sette perchê pensano che farà i loro interessi. E questo si riproduce anche nel parlamento nazionale. A Bahia il Candomblé resiste alla grande, ma se prima erano il 90% ora sono un 20% di meno. E questa è una grande forza politica che decide le sorti delle amministrazioni locali. Io amo il Candomblé perché è una religione meravigliosa nella quale non c’è peccato, ci sono solo forze positive e negative ma per osservarlo ci sono tante regole che non seguirei mai…