Non ho esitato neanche un momento: la mattina del 10 marzo ho preso il computer, qualche libro da leggere, stivali, jeans, pochi altri indumenti e sono partita subito per Santa Marinella. Nonna Elsa, la mamma di mia mamma, è nata qui nel ’22. Vive da sola con la gatta e due tartarughe nella casa costruita subito dopo la guerra, circondata da quel giardino che è la sua grande passione. La nostra convivenza è scandita dai riti quotidiani. Per me è un po’ come tornare bambina, ma inevitabilmente devo fare i conti con una realtà completamente diversa.
Nel frattempo le giornate si allungano, le fresie sono sbocciate e poi appassite, il glicine è un tripudio di fiori lilla. Nonna mi racconta di quando Stefano Pirandello, che aveva adottato lo pseudonimo di Stefano Landi – figlio di Luigi che pure negli anni Venti era solito frequentare il «salotto dei pionieri intellettuali». di S.Marinella insieme, tra gli altri, a Matilde Serao, Trilussa, Ojetti, i coniugi Ossani-Lodi con la figlia Marinella – trascorse qualche mese lontano dalla mondanità, immerso nella scrittura. È del 17 maggio 1950 la lettera che scrisse, proprio da S. Marinella, a Silvio D’Amico in cui esprimeva l’intenzione di riprendere il suo vero, ingombrante, cognome. Gemma, l’amica di mia nonna, andava a servizio da lui occupandosi anche dei pasti. Il drammaturgo, sempre cortese, amava le sperimentazioni culinarie apprezzandone la genuinità più che l’aspetto sofisticato
Ma bisognava pur variare così, confrontandosi con l’amica del cuore, Gemma decise di preparare a Pirandello quelle che nonna Elsa chiama «le cucchiarelle», un piatto che sua madre cucinava spesso. «Batti le uova intere, ci aggiungi un pizzico di formaggio grattugiato, sale e pepe e un po’ di pan grattato per rendere il composto più compatto, come le polpette tanto per intenderci. A parte prepari il sughetto a crudo, magari aggiungendoci anche la cipolla sminuzzata, lo levi dal fuoco e con il cucchiaio vi fai scivolare dentro queste specie di polpette lunghe che lasci per due minuti nel tegamino coperto. L’uovo fa da legante e le rende compatte. Certe volte aggiungevamo anche qualche foglia di prezzemolo», ricorda mia nonna. Che goduria per il palato quella semplice, ma appetitosa combinazione d’ingredienti, che mandò Stefano Pirandello letteralmente in brodo di giuggiole. Era sempre Gemma, frizzante per giovinezza ed entusiasmo, a raccontare a mia nonna del guardaroba di Anna Fougez, la diva del Café-chantant che nel ’19 cantava Vipera facendo cadere ai suoi piedi gli uomini più illustri.
Ma chi avrebbe mai potuto indossare nella vita quotidiana quei vestiti tutti piume e lustrini che odoravano di naftalina, le scarpe coloratissime con il tacco a rocchetto o i cappelli a cloche dell’età del Charleston? Come raccontano i ritagli di giornale meticolosamente conservati dal barbiere Donato D’Annunzio (il primo nome era Archiloco e quando scriveva usava lo pseudonimo Arsenio) nei suoi «quaderni», oggi nella Biblioteca Civica A. Capotosti, la moda era quella un po’ austera che circondava la star svedese (che poi nella vita di tutti i giorni era, forse, anche la meno diva) con cui Roberto Rossellini aveva messo su famiglia, acquistando la villa bianca che si vede ancora dal treno in corsa, all’altezza del km 58 della via Aurelia. È datata 1959 l’istantanea in cui Ingrid Bergman, mamma premurosa, esce dalla bottega del barbiere-poeta con il figlio Robertino fresco di taglio. Il barbiere Donato fu anche il fondatore della sede del partito comunista di S. Marinella e, come riporta un articolo pubblicato nel ’67 su Il Giornale d’Italia, «tentò, senza successo, di entrare in chiesa con la bandiera rossa».