«La crisi globale ha avuto un impatto in termini di salute sugli europei più esposti: la crescita dei suicidi è stato uno dei primi drammatici indicatori nei Paesi più vulnerabili, ma poi è emersa anche l’impennata nelle sieroconversioni da Hiv (in Grecia, tra le persone che usano droghe per via iniettiva, nel 2010 si sono registrate solo 15 conversioni, nel 2011 se ne registrano 256 e nei primi otto mesi del 2012, 314), e l’aumento delle malattie mentali e psichiatriche, per esempio in Grecia e in Spagna, ascrivibili ai tagli che hanno drasticamente abbassato quantità e qualità della protezione sociale e dell’accesso alle cure. Alcune ricerche nel 2013 dimostrano la correlazione tra austerità e peggioramento dello stato di salute soprattutto nei Paesi oggetto dei Memorandum della Troika».
Il Rapporto sui diritti globali 2014 promosso dalla Cgil e presentato ieri a Roma dall’Associazione Società informazione, si addentra anche nei meandri delle conseguenze della crisi sulla salute, diritto primario dell’uomo. In Italia «tra il 2011 e il 2015 il Ssn è destinato a perdere 30 miliardi di euro». Nel 2012 – riferisce il Rapporto – l’11,1% degli italiani ha rinunciato ad almeno una prestazione sanitaria, nonostante ne avesse bisogno, e lo ha fatto per motivi economici. Contestualmente, crescono le prestazioni pagate interamente out of pocket: dal 21% al 24,9% per gli accertamenti specialistici, dall’8,1% al 14,1% per le analisi del sangue, e chi paga di più sono i cittadini meridionali.

Secondo Caritas Italiana, tra il 2006 e il 2013 la povertà sanitaria relativa all’acquisto di farmaci sarebbe aumentata del 97%, e la domanda agli enti che li distribuiscono gratuitamente è cresciuta negli ultimi tre anni del 57,1%. Sono 12,2 milioni gli italiani che hanno accresciuto la loro spesa per la sanità a pagamento, sia andando sul mercato privato che utilizzando l’intramoenia.

«Secondo i sindacati – si legge ancora nel Rapporto – mettere in sicurezza la sanità pubblica è urgente e significa: non tagliare ma recuperare in efficienza, valorizzare professioni e lavoratori, invece di puntare sul continuo ridimensionamento del lavoro degli operatori pubblici, come continuano a fare tutti i governi da Berlusconi in poi, sviluppare le cure primarie H24 sul territorio e bilanciare la spesa ospedaliera. Anche perché i dati dicono che, dal punto di vista occupazionale, l’Italia è sotto la media dei Paesi Ue e Ocse, e ogni euro investito in salute finisce con il produrne sette».
Ma nel panorama dei diritti umani, civili e sociali calpestati in nome e per colpa della crisi globale ci sono anche quelli di chi – consumatori di stupefacenti o meno che siano – paga la fallimentare politica proibizionista di lotta alla droga. Come negli Usa e in America Latina, «venti di cambiamento» soffiano, secondo il Rapporto, «anche in Italia: la staticità dei governi Monti e Letta viene superata non dalla politica del governo Renzi bensì dalla Corte costituzionale, che l’11 febbraio 2014 fa decadere la legge Fini-Giovanardi». Facendo riviere la vecchia legislazione modificata dal referendum popolare del 1993, che prevede la punibilità solo amministrativa del consumo personale.

Tra gli effetti positivi, il decadere della “dose media” che, per legge, sanciva la quantità di sostanza detenuta al di sopra della quale scatta il reato di spaccio (ragione dell’incarcerazione di molti consumatori) e il ripristino delle tabelle differenziate per le sostanze “leggere” e “pesanti”. «Una seconda novità – scrivono i curatori del Rapporto – la segna il governo di Matteo Renzi, che anche sotto la continua pressione della rete di associazioni e operatori e dei movimenti dei consumatori di sostanze, decide di dare un segno di discontinuità interrompendo la gestione di Giovanni Serpelloni del Dipartimento Politiche Antidroga». Motivo per il quale, secondo un’interpellanza indirizzata ieri a Renzi dal senatore Ncd, Carlo Giovanardi, il Dipartimento sarebbe «alla paralisi», con i conseguenti ritardi nei pagamenti delle comunità terapeutiche accreditate.