La mappa passa di mano in mano e resta segretissima. L’Ispra, che l’aveva ricevuta da Sogin a inizio gennaio, l’ha consegnata ai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo. Sulla carta sono segnate le aree «potenzialmente idonee» a ospitare il deposito nazionale delle scorie nucleari, che dovrà essere operativo dal 2024. Indiscrezioni parlano di 80 o 90 siti, sparsi in una dozzina di regioni italiane. Intanto, la Sogin, la società di Stato incaricata del decommissioning degli impianti nucleari su cui pende lo spettro del commissariamento, cambia piano industriale e chiede al dicastero di via Veneto di raddoppiare il deposito temporaneo D2 di Saluggia, in provincia di Vercelli: il posto più sconsigliato per custodire materiale radioattivo, in quanto l’attuale area nucleare si trova in una zona esondabile, inedificabile e vulnerabile essendo posizionata nella golena della Dora Baltea. Il D2, ora in costruzione a due campate, verrebbe portato a quattro campate, per un totale di 40 mila metri cubi.

Tutto succede senza il Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, che doveva essere definito entro il 31 dicembre scorso (decreto legislativo 45/2014). Il «piano regolatore» del nucleare prevederebbe un inventario sull’ubicazione e la quantità di scorie. E una discussione partecipata in base alla Convenzione di Aarhus sul diritto dei cittadini alla trasparenza delle decisioni in materia ambientale.

La storia dell’atomo in Italia è fatta di silenzi, contraddizioni, ritardi. Le associazioni ambientaliste – Legambiente e Pro Natura – invitano a dire basta alla costruzione di nuovi depositi «temporanei», uno «spreco di denaro e un alibi per rinviare l’allontanamento delle scorie». Secondo Gian Piero Godio di Legambiente «se si continuano a costruire nuovi depositi non andranno più via da siti inidonei, come Saluggia e Trino Vercellese, dove vengono custodite il 96% delle scorie di tutto Paese». E aggiunge: «I motivi sono due, o al deposito nazionale non crede nemmeno la Sogin o si fanno lavori solo per questioni di affari».
In ballo c’è anche la realizzazione del deposito D3 che contempla l’impianto Cemex (cementazione dei rifiuti radioattivi liquidi, i più pericolosi), il cui appalto è ora commissariato dopo la vicenda tangenti che ha coinvolto l’azienda Maltauro (impegnata nei cantieri dell’Expo) e dirigenti Sogin.
Paola Olivero (Pd), capogruppo dell’opposizione a Saluggia, si chiede quale sia il senso dell’ampliamento «se non di spendere inutilmente soldi pubblici che i cittadini pagano nelle bollette». I depositi temporanei saluggesi e quello permanente nazionale, dove le scorie di Saluggia dovrebbero essere successivamente allocate, «vedrebbero la luce – spiega Olivero – a pochi anni di distanza gli uni dall’altro. E gli attuali lavori del D2 si stanno svolgendo in assenza di Valutazione di Impatto Ambientale».
Gli ambientalisti hanno convocato un’assemblea sabato a Saluggia. La preoccupazione è che gli attuali siti italiani rimangano depositi di se stessi e diventino, inoltre, la tappa ultima delle scorie «espatriate» momentaneamente, per il riprocessamento, all’estero. Marco Grimaldi, capogruppo di Sel in Regione Piemonte, chiede, in un documento inviato al presidente Chiamparino e firmato anche da Silvana Accossato e Giovanni Corgnati del Pd, «di non autorizzare alcun ampliamento di volumetrie a Saluggia e di rinnovare la richiesta al governo dell’individuazione in tempi rapidi del sito unico nazionale». Grimaldi spiega: «A settembre il consiglio regionale ha votato una mozione che invitava a cercare una soluzione per disimpegnare il sito di Saluggia, un indirizzo in contrasto con il nuovo piano Sogin». Per la commissione nucleare del comune di Saluggia l’istanza Sogin è «irricevibile».