Nessun accordo fra Psoe e Unidas Podemos. Saltata la nomina di Sánchez a presidente del consiglio. Il numero dei no ha superato quello dei sì, un vincolo aritmetico banale, ma inesorabile che spinge la Spagna verso due mesi di grande incertezza politica, passati i quali, in assenza di un governo, si andrà a nuove elezioni.

È un esito grave, denso di insidie. Tornare al voto, dopo una partecipazione del 75% alle elezioni dello scorso 28 aprile, significa solo farlo in un crescente e diffuso clima di sfiducia nella politica e nelle istituzioni, che l’astensione e la coesione delle destre.

OLTRE CHE GRAVE È anche incomprensibile, perché il risultato delle urne aveva anche detto, con sufficiente chiarezza, che il popolo spagnolo voleva un governo progressista, confermando l’unica maggioranza in grado di esprimerlo, quella che si era unita per cacciare Rajoy e la sua destra dal governo. Questa opportunità, il «No pasarán» urlato in campagna elettorale, è ora spazzata via dalla rottura fra le sinistre. Vengono i brividi pensando alla campagna elettorale che si preannuncia per novembre. Da un lato le sinistre sempre più divise e rancorose, in competizione fra loro, e dall’altro, invece, una destra compatta e aggressiva.

UNA CAMPAGNA ELETTORALE da svolgere in un contesto segnato dall’acuirsi della crisi sociale e ambientale, lasciata senza risposte per l’assenza di un governo vero e proprio, non dimenticando che il governo in funzione opera solo nell’ambito del bilancio approvato da Rajoy. Un contesto in cui farà irruzione la sentenza per i dirigenti indipendentisti catalani, che non sarà equa, e spingerà la crisi territoriale verso l’ingovernabilità. Insomma un terreno fertile per le destre. Infinito il balletto delle responsabilità, con la reciproca accusa di avere determinato il disastro. Senza rendersi conto che a pagare il prezzo del mancato accordo saranno entrambe le sinistre, al di là di come verranno distribuite le responsabilità.

Fino alla convocazione del Parlamento a inizio settimana risultava inconsistente una trattativa programmatica, sostituita da una semina meticolosa di tutto ciò che divideva, alimentava sospetti, allontanava ciò che invece l’elettorato aveva chiesto si unisse.

DA UN LATO IL COSTANTE tentativo di umiliazione di Unidas Podemos, insinuandosi nelle sue contraddizioni interne, quelle che ne hanno contribuito a determinarne il calo elettorale, la divisione fra il numero uno, Iglesias, e il numero due, Errejón, con l’invito a quest’ultimo a creare una versione più docile e moderata del partito viola. Dall’altro Unidas Podemos che ha dato per scontato un accordo programmatico, concentrandosi sulle formule, non capendo che poco interessa chi è il titolare di un ministero, ma quello che farà quel ministero.

Dunque la mancanza di un progetto comune. Rivelatrice la dichiarazione di Sánchez, quando dice che le richieste di Unidas Podemos vanno respinte perché configurerebbero un governo diviso in due. Rivelando proprio che quello che manca è un accordo sulle cose da fare. Quale redistribuzione del reddito promuovere e a chi farla pagare, qual è il progetto di trasformazione ecologica di fronte al cambio climatico, che inevitabilmente comporta colpire interessi giganteschi a cominciare da quelli delle grandi compagnie energetiche legate ai combustibili fossili e al nucleare. Quanto derogare la legge sul lavoro, contro la precarietà, o la Ley Mordaza, che limita le libertà di espressione, o fin dove spingersi per dare risposte alla domanda di uguaglianza delle femministe e delle persone Glbtqi.

NON SONO LE SMANIE di potere del segretario di Unidas Podemos a bloccare la possibilità di governo, né il suo protagonismo comunque ridimensionato con il passo indietro, forse pesano di più i veti che arrivano dal nuovo gruppo dirigente europeo e dagli interessi che tutela. Una pressione che trova tanto ascolto in una parte potente del Psoe. Difficile, del resto, trovare una compatibilità fra l’annuncio di una nuova transizione ecologica, con relativo cambio del modello energetico, e la presenza di influenti dirigenti socialisti nei consigli di amministrazione delle principali compagnie petrolifere. Su questa strada la sinistra perde, perché le manca egemonia culturale, perché continua a stemperare i suoi valori identitari, rimanendo senza funzione nella società.

CONSIDERARE CHIUSA la partita e rassegnarsi a nuove elezioni sarebbe il regalo per le destre. Meglio provare, uscendo dalle formule, a ricercare un accordo su cosa, quanto e come cambiare il paese, trovandolo sarà più facile decidere l’idea di governo per tradurlo in fatti.