Il premier israeliano Netanyahu, che in questi giorni sta mettendo a frutto i ribaltoni politici avvenuti in Argentina e Brasile per recuperare terreno in America latina, è costretto a subire uno smacco in Africa, dove Tel Aviv conduce con un piglio che non si vedeva dai tempi di Golda Meir una campagna per migliorare le sue relazioni diplomatiche ed economiche nel continente. Vuoi per le risorse, vuoi per i servizi “a pagamento” che paesi come Ruanda e Uganda hanno già fornito prendendosi i migranti che Israele non vuole più. Vuoi perché ogni voto utile in sede Onu ha il suo peso.

La notizia è che il summit israelo-africano, previsto dal 23 al 27 ottobre in Togo, è stato rimandato a data da destinarsi. Un clamoroso autogol anche per il presidente togolese Faure Gnassingbé, alle prese d’altro canto con una contestazione interna senza precedenti. Alla luce della quale suona risibile la motivazione, che arriva da Lomé, di aver preso la decisione – d’accordo con il governo israeliano – per guadagnare tempo, in modo da organizzare l’evento al meglio.

In realtà, oltre alle turbolenze politiche interne, hanno giocato un ruolo il boicottaggio del summit lanciato dal Sudafrica, seguito da almeno la metà dei paesi invitati, e le pressioni esercitate sul Togo da parte dei paesi arabi affinché non si legittimino con simili iniziative le politiche oppressive di Israele nei confronti dei palestinesi.

Resta poi il fatto che nella capitale del piccolo paese africano che avrebbe dovuto ospitare il vertice l’opposizione è mobilitata in modo permanente per chiedere le dimissioni di Gnassingbé, divenuto presidente nel 2005 con una vistosa forzatura costituzionale che gli consentì di subentrare al padre, Gnassingbé Eyadèma. Il quale da parte sua era arrivato al potere con un golpe nel lontano 1967. Sono quindi 50 anni che il paese è nelle mani della stessa famiglia.

Ieri il parlamento togolese era convocato in sessione straordinaria per discutere delle modifiche costituzionali che dovrebbero impedire al presidente di correre per un ulteriore mandato. Ma quando è stato chiaro che all’ordine del giorno c’era solo la legge di bilancio, l’opposizione è tornata a protestare di fronte all’Assemblea nazionale.