Se c’è una riforma che la camera dei deputati avrebbe dovuto necessariamente approvare è quella del regolamento. Dalla prossima legislatura le tante norme che prevedono un numero fisso di parlamentari sono inapplicabili, vista la riduzione di deputati (e senatori) decisa due anni fa. Vale per entrambi i rami del parlamento, ma il senato a luglio ha adattato il suo regolamento mentre la camera si è rassegnata a non farlo. Per la seconda legislatura di seguito, Montecitorio non riesce ad aggiornare le sue regole interne mentre palazzo Madama lo fa. Questa volta è più grave. Un solo esempio: è rimasta la soglia minima di 20 deputati per formare un gruppo parlamentare. Incrociando gli ultimi sondaggi e la nuova stima diffusa ieri dall’istituto Cattaneo, si verifica facilmente che solo cinque partiti riusciranno a formare, entro i due giorni dalla prima seduta del 13 ottobre, il gruppo: i tre del centrodestra, il Pd e il M5S. E senza gruppi non possono partire né i lavori parlamentari né le consultazioni al Quirinale per il nuovo governo.

Ieri la resa. Nell’ultima riunione della giunta si è preso atto che non ci sono più i numeri per approvare il testo di riforma dei relatori Baldelli (Fi) e Fiano (Pd) sul quale pure sembrava esserci un accordo di massima. Si è riaperta la vecchia frattura tra i sostenitori di una modifica minimale (centrodestra) e chi voleva approfittare per aggiornare norme vecchie e introdurne di nuove contro il trasformismo (soprattutto il Pd). Regole, queste ultime, che avrebbero privato dei finanziamenti i deputati che lasciano il gruppo di elezione per passare al Misto (e il capogruppo del Misto, Schullian, ieri ha denunciato l’impossibilità di tenere in piedi gli uffici, tanto più che tutti danno per scontato che con la riduzione dei parlamentari dovranno aumentare i collaboratori). Ma per approvare una modifica dei regolamenti ci sono quorum alti: maggioranza assoluta e voto segreto. Sarebbe stato difficile portare in aula, tra agosto e settembre un, numero sufficiente di deputati, sicuramente non quelli impegnati nella campagna elettorale.

E così ieri pomeriggio, a conclusione delle ultime votazioni, è partito lo scambio di accuse. Senza girarci troppo attorno, il centrodestra attribuisce al Pd la volontà di «boicottare» la partenza della prossima legislatura, considerata persa. «No, è colpa di chi ha fatto cadere il governo Draghi, anche questa è una conseguenza di quella rottura improvvisa», la replica del Pd Giorgis. Critiche dai due schieramenti anche al presidente della camera Fico, che non è riuscito a stringere i lavori della giunta (che presiede) per tempo.

I dem non hanno rinunciato a chiedere il massimo – le norme anti trasformismo, pallino di Letta – contando sul fatto che il prossimo presidente della camera non potrà che concedere una deroga, aprendo alla formazione di gruppi con meno di 20 deputati. «Nessuna deroga sarà automatica», ha però messo le mani avanti il rappresentante di Fratelli d’Italia, partito che si aspetta di avere la delegazione più grande e che vorrà scegliere il prossimo o la prossima presidente ed è già sicuro di avere il presidente pro tempore della prima seduta.

Dopo di che bisognerà approvare comunque un nuovo regolamento, ma a elezioni fatte scatteranno le convenienze di maggioranza e opposizione e non è detto che sia semplice. La bozza accantonata all’ultimo momento abbassa la soglia minima di deputati per gruppo da 20 a 14, comunque troppi come ricorda il capogruppo di Leu Fornaro perché la matematica dice 12 o 13. Ma non c’è solo il problema della formazione dei gruppi: alla camera a differenza del senato (anche con il vecchio regolamento) non è previsto che un deputato faccia parte di più di una commissione permanente. E le commissioni sono rimaste 14, il che vuol dire che almeno in partenza sarà in discussione il diritto di tutti i partiti a partecipare pienamente ai lavori parlamentari. Anche dei i gruppi eventualmente formati in deroga. Deroghe che, una volta concesse, sarà anche difficile revocare.

Forse il deputato Baldelli esagera quando dice che «consegniamo alla prossima legislatura una macchina che non si potrà mettere in moto», ma non troppo. È l’ultima conseguenza nefasta del taglio dei parlamentari, riforma per la quale questo fallimento sul regolamento non fa che aumentare i pentiti tra i deputati. Specie in tempi di formazione delle liste.