Tutti gli scrittori, o quasi, si dicono realisti, ma pochi si vanterebbero di appassionarsi alla normalità. E se lo fanno, il prezzo sarà, nella maggior parte dei casi, una eccedenza sfrontata della maniera. Tanto più sorprendente è il caso della giovanissima Sally Rooney, irlandese nata nel 1991, la cui aspirazione è sintetizzata come meglio non si potrebbe nel titolo del suo ultimo libro, Persone normali, appena tradotto da Maurizia Balmelli (Einaudi, pp. 240, e 19,50). Scegliere un titolo così è una forma di implicita provocazione, intende esibire l’appartenenza dei personaggi e delle loro vicende all’ordine naturale della vita, così come si prevede che debba scorrere: nessuna svolta speciale, nessun fatto straordinario, nessun corteggiamento di ebbrezze, né crude discese nel sottosuolo della scala sociale, o brutali deragliamenti della psiche.

Dalla struttura del romanzo alla velocità delle sequenze narrative, al lessico aderente al parlato, ai dialoghi veloci e perfetti nella loro credibilità, tutto concorre a incollare il lettore al vissuto quotidiano di due liceali, Marianne e Connell, che dalla rurale Carricklea, contea di Sligo, approdano insieme all’Università di Dublino, alternando amore e amicizia in un rapporto di intricata intensità. Meno di una pagina di apertura è sufficiente a Sally Rooney per fotografare la cornice: Connell suona il campanello, è andato a prendere sua madre Lorraine a casa di Marianne, che va ad aprire. In cucina Lorraine li aspetta, interroga i ragazzi sulla scuola, è evidente che sono compagni di classe; poi si sfila i guanti di gomma, e il lettore comincia a capire che la donna è a servizio dalla famiglia di Marianne.

Dialoghi senza tempo
Senza mai sottolinearne i dettagli, solo sfiorando il dato di fatto, Rooney preciserà via via l’appartenenza sociale dei ragazzi: Connell non sa chi sia suo padre, Lorraine fa la cameriera, è una madre amorevole e discreta, si è guadagnata la confidenza del figlio al quale ha comunicato la giusta misura del suo posto nel mondo; e Connell ripaga con risultati eccellenti negli studi.
Marianne è figlia di avvocati, vive in una grande villa, sa di avere una intelligenza speciale, non ha amici, non frequenta i locali dove si riuniscono i ragazzi, non è bella, legge i libri giusti e studia. Da sempre, ha sentito dire di sé che è mentalmente disturbata, e questo le tornerà in mente come una colpa, qualcosa che la condanna, quando i fatti la costringeranno a ricapitolare il suo passato. Niente di eccezionale, semplicemente Connell è un figlio amato e che ha imparato a riconoscersi nello sguardo della madre, Marianne è la primogenita di un padre morto quando lei era una ragazzina e di una madre distratta, anaffettiva, svalorizzante, con un fratello debole e vigliacco che la aggredisce e probabilmente abusa in vario modo di lei.

Il quadro descritto da Sally Rooney è preciso e mai insistito, mai davvero messo a fuoco. Per il resto, tutto quel che la sua scrittura induce a notare può suonare come un disvalore: la sincerità, l’andare dritta alle cose, la mancanza di filtri dai quali far passare la descrizione di sentimenti, l’autenticità della sua inclinazione verso ciò che è normale, ovvero ordinariamente disturbato. Nonostante Rooney sia stata lanciata sul mercato editoriale come la scrittrice prediletta dai cosiddetti millennial, i ragazzi che descrive non sono affatto l’emblema della gioventù moderna. Vedono le mail sul telefono, certo, ma le loro esitazioni, i loro sentimenti, la loro contraddittorietà, i gesti in cui si esprimono, tutto ciò che pensano e agiscono e persino i loro dialoghi sono senza tempo, pur non aspirando mai a evocare l’universalità delle cose ultime.

Sally Rooney è una scrittrice del tutto europea, proveniente da una cultura profondamente cattolica della quale peraltro non partecipa. Non ha gli orizzonti della drammaticità americana, non ha alle spalle grandi epopee e il futuro non le si presenta già prossimo al collasso. I suoi protagonisti sono effettivamente persone normali, mai programmaticamente emblematiche, però. Nella immaginazione di Sally Rooney c’è accoglienza per la speranza e persino per il lieto fine: ciò che di più disdicevole si trova nell’inventario delle strategie narrative. Eppure, la scrittrice irlandese riesce a capovolgerne il segno coinvolgendo il lettore, anzi trascinandolo, nella sua sottrazione al disincanto, questo imperativo contagioso che, applicato alla scrittura, si traduce in una sorta di anamorfosi letteraria, dove più si deforma la prospettiva consueta, più punti si guadagnano nella scala dei valori letterari.
La tentazione di stupire sembra quanto di più lontano Sally Rooney senta da sé. Non ne ha bisogno, la sua capacità di introspezione psichica rende i personaggi straordinariamente vivi: al lettore non può sfuggire la consequenzialità che governa l’inclinazione masochistica di Marianne, la ricerca di conferme della sua indegnità, lei che viene da una famiglia dove l’unico a badarle è suo fratello, per usarle qualche forma di violenza.

Al lettore i nessi
La sua ricerca di un rapporto che le assicuri quei livelli di tossicità respirati tra le mura domestiche si scontra con la fondamentale salute mentale di Connell, figlio molto amato di una madre che deve e vuole impersonare anche il ruolo legislatore del padre assente. Entrambi i ragazzi, crescendo e aiutandosi, imparano quel che è meglio per loro: Sally Rooney ne segue la maturazione con sobrio determinismo freudiano, lasciando al lettore i nessi fra le difficoltà del presente e quanto è successo nell’infanzia dei ragazzi.
La sua voce lascia sulla pagina una impronta decisa, dando il meglio di sé nei dialoghi, dove Marianne e Connell tentennano nel cercare la loro strada, tra retaggi di crudeltà infantili ancora non completamente consumati e incertezze nel dare forma al proprio ruolo. È certo che il talento di Rooney non le assicurerà un posto nel canone del XXI secolo, la sua freschezza è destinata a una impressione volatile; ma coglierla è un regalo da concedersi.