Mentre blasonati appuntamenti estivi, da Wimbledon a Cannes a Aix en Provence, cadevano uno a uno, il festival di Salisburgo ha tenuto gli appassionati col fiato sospeso, riuscendo poi a mantenere un mese di programmazione – fino al 30 agosto – sfrondata ma pur sempre cospicua, con tanto di mostra del centenario ampia e ben fatta (agghiacciante nelle sezioni sull’Anschluss e il nazismo). Visto dall’Italia, dove Macerata e Martinafranca, Roma, Verona, persino al chiuso a Pesaro, hanno proposto validi cartelloni fa meno impressione, ma la scelta salisburghese resta nella tempesta pandemica un faro per tutto il mondo musicale non solo europeo.

LA REGIA di Krzysztof Warlikowski per Elektra di Richard Strauss, sola opera sopravvissuta del programma originale, offre la Felsenreitschule a tre figure femminili psicologicamente devastate, che celano carichi di colpe e ossessioni in mise da mezza sera fra l’elegante e il pacchiano. Egisto e perfino Oreste (Derek Welton) sono solo figure funzionali allo scontro inevitabile fra le tre consanguinee: lo prova la partecipazione muta di Crisotemide all’assassinio della madre nella casa di vetro prospiciente la piscina cinta di docce, misterioso spazio di ritualità e atrocità ctonie e postmoderne, molto simile alla piscina vuota in cui Warlikowski ambientava Salome a Monaco nel 2019.
Sul podio Franz Welser-Möst sottopone la travolgente partitura di Strauss a un filtro che esalta i passaggi lirici e velenosamente sinuosi, anche per non sommergere la voce di Austrine Stundyte, Elettra animalesca e musicale ma di voce anche più leggera rispetto alla sorella, Asmik Grigorian, stregante Salome dei passati festival, e della proterva Clitennestra di Tanja Ariane Baumgartner. Tutti liberi da restrizioni i cantanti in scena e i Wiener Philharmoniker in buca, tenuti però separati dalla sala – niente visite dietro le quinte – e dal personale, con test quasi giornalieri, mentre il distanziamento dei posti e le mascherine sono obbligatori per un pubblico quindi meno folto, come mostrano le vie della città, specie la sera. Gravami psicologici simili sembrano turbare i protagonisti del Così fan tutte, titolo aggiunto all’ultimo con vigorosi tagli concordati fra la direttrice Joana Mallwitz e il regista Christof Loy per evitare l’intervallo. Un gioco delle parti più rischioso che divertente anima il capolavoro di Mozart-Da Ponte, diretto con verve e profluvio di improvvise variazioni, forse troppe, di tempi e colori dalla giovane Mallwitz.

L’EFFETTO intellettuale si fa molto fisico, tutti saltano, cadono e si spintonano in un appartamento bianco senza nemmeno una sedia, classico stile Loy. Affiatato l’insoddisfatto sestetto: le migliori Lea Desandre, Despina ahimè privata di un’aria, e Marianne Crebassa, focosa Dorabella; un po’ flebile Elsa Dreisig, Fiordiligi, ben centrati Bogdal Volkov, Ferrando, André Schuen, Guglielmo e l’Alfonso di Johannes Martin Kränzle. Pubblico plaudente ma sventagliarsi in sala è vietatissimo.