Lo chiamano il Grande progetto. Si tratta dell’artificializzazione dei circa 30 km di spiaggia che vanno dalla periferia di Salerno a Capaccio, con 49 pennelli a mare e altrettante barriere semisommerse, parallele al litorale. Un affare da 70 milioni di euro, messo in campo dalla Provincia e finanziato dalla Regione Campania attraverso i fondi europei, per far fronte al problema dell’erosione costiera. Contro questi «interventi di difesa e ripascimento del litorale del Golfo di Salerno» sono immediatamente scesi in campo gli ambientalisti. Legambiente si è detta preoccupata «dal forte impatto delle strutture previste, che andranno a modificare completamente il profilo e l’ecosistema costiero, e dal loro costo».
Quello dell’erosione è un problema concreto, contro il quale è da tempo scesa in campo anche la stessa Unione europea. Del resto i dati di Eurosion, un progetto della Direzione generale ambiente della Commissione europea, parlano chiaro: ogni anno nel Vecchio continente si perdono circa 15 kmq di spiagge. Vuol dire che un quarto delle coste del bacino Mediterraneo soffrono del fenomeno dell’erosione. Numeri in linea con quelli italiani, poiché l’aggressione delle nostre spiagge da parte dell’uomo e del mare riguarda infatti circa 2.400 km di litorale sui 7.500 totali. In sostanza, quasi un terzo delle nostre coste sono soggetti a forte erosione secondo un rapporto dell’Unep/Map, il braccio per il Mediterraneo del programma Onu per l’ambiente, col mare che ha già divorato 4 kmq di spiagge, interi arenili scomparsi o ridotti al lumicino. Coinvolte dal fenomeno anche alcune aree di grande valore ecologico, come il Mar Ligure, la costa tirrenica e il Delta del Po. Situazione grave pure in Sardegna e sui mari Adriatico e Ionio. Il problema quindi è reale. Di conseguenza, bisogna semmai capire come porvi rimedio.
Il progetto Eurosion spiega che «la causa dell’erosione sono gli interventi lungo i bacini idrografici (dighe e briglie) e la pressione antropica esercitata, mediante strutture aggettanti a mare (barriere frangiflutti, isole e pennelli, massicciate e porti)». Gli interventi più efficaci per migliorare lo stato di equilibrio della linea di riva, sempre secondo Eurosion, vanno quindi fatti a monte per favorire la «naturale resilienza» della costa. In alternativa, se la situazione è così grave da richiedere interventi a mare, questi devono essere «sempre meno impattanti, prevedendo l’utilizzo di materiali compatibili e diminuendo radicalmente la realizzazione di strutture rigide». Tanto che in Toscana, Emilia e Lazio, dove nei decenni scorsi sono stati realizzati interventi simili a quelli proposti nel salernitano, senza però riuscire a ridurre il fenomeno ma in alcuni casi aggravandolo, ora si parla in qualche caso addirittura di rimuovere queste opere.
Per Rocco Tasso, geologo del comitato scientifico Legambiente Campania, «il progetto salernitano, sebbene finanziato dall’Europa, confligge con gli stessi orientamenti e studi svolti dall’Ue». Tasso denuncia come «gli stessi studi a supporto del progetto dimostrano che il fenomeno erosivo, già caratterizzato dalle nostre parti da una bassa magnitudo e quindi non così drammatico come in altre zone d’Italia, risulta essere in sostanziale rallentamento. A fronte di questo mettono però in campo un progetto fortemente impattante che prevede l’utilizzo di circa un milione e 200 mila tonnellate di massi calcarei per formare opere rigide in grado di sconvolgere il naturale regime delle correnti e del trasporto solido lungo costa». Legambiente non ha dubbi: «Questi interventi determineranno l’artificializzazione e la modifica di un ambiente seminaturale e dunale, caratterizzato da elementi di pregio tipici delle aree mediterranee a costa bassa».
Inizialmente il progetto prevedeva di arrivare fin alle porte del Cilento, passando anche per i templi di Paestum. A mettersi di traverso, l’Autorità di bacino regionale che si occupa del lato destro del fiume Sele, che non condivideva «la necessità di intervenire anche su tratti di costa che non risultano, allo stato, interessati da fenomeni erosivi» e con «l’uso prevalente di strutture trasversali alla linea di riva», quando «il moto ondoso prevalente e più gravoso è perpendicolare». Il responsabile unico del progetto conferma: «È vero, tanto che lavoreremo dalla periferia di Salerno alle porte di Agropoli ma le opere rigide si fermeranno a Capaccio», spiega Domenico Ranesi, dirigente della Provincia. «Confermo anche la contrarietà di molti alle nostre scelte ritenute da loro superate e le tante riunioni con gli oppositori che, anche grazie a Legambiente, ci hanno però fatto fare delle modifiche. Le critiche sono importanti ma non vedevamo altre soluzioni, senza fare nulla tra vent’anni la spiaggia sa rebbe sparita». Riguardo ai tempi, il dirigente parla di «gara unica per l’intero progetto entro fine anno, tre cantieri che realizzeranno un pennello per volta, anche se lavoreremo il più possibile dal mare, due anni dall’inizio per completare l’opera». Ranesi non nasconde che si tratti di «opere impattanti», con le quali intendono risolvere un problema considerato di protezione civile prima ancora che ambientale: «A Pontecagnano, dove investiamo quasi la metà del budget, bisogna difendere l’abitato, come anche l’ospedale di Campolongo». Il responsabile del progetto ammette anche la preoccupazione per la qualità delle acque, «attualmente pessima in alcuni tratti, anche perché a Pontecagnano abbiamo celle chiuse, in pratica pennelli ortogonali alla costa collegati tra loro da barriere che stanno un metro sotto il livello del mare ma con un’apertura di 25-50 metri che consente un naturale ricambio di acqua». Naturalmente, minore e non paragonabile ai livelli attuali. Il dirigente della Provincia rivela infine di essere «preoccupato sia di questo che per le correnti provocate da queste strutture che possono portare al largo i bagnanti». A questo punto viene da chiedersi: possibile che questa, con 70 milioni di euro messi a disposizione dall’Ue, fosse l’unica soluzione praticabile?